
E’ stato definito un tenero e delizioso romanzo (Luciano Del Sette, Alias/Il Manifesto). Intensamente divertente e allo stesso tempo intensamente triste, aggiungo io. Un romanzo sullo scorrere del tempo, ma anche sui valori (l’amicizia, l’amore, l’orgoglio) a cui i protagonisti, quattro anziani in difficoltà (chi per la salute precaria, chi per dover fronteggiare le scadenze e le bollette con una pensione sempre troppo bassa), si aggrappano caparbiamente per non immalinconire davanti al televisore. E’ infatti contando ognuno sulle (poche) forze dell’altro che Ettore, Osvaldo, Filippo e il narratore Angelo tornano ad essere quattro “partigiani della Montagnola” (il quartiere di Roma dove si svolge il racconto) in grado di rapire il Presidente del Consiglio Berlusconi per ottenere, anzi per pretendere, delle scuse. Scuse agli anziani, ai giovani precari, agli studenti, agli omosessuali, agli operatori sociali. Scuse alla politica e alla democrazia. Scuse ad un’idea, a un ideale, di Paese per cui hanno combattuto e ucciso, e che non possono accettare di far diventare un lontano ricordo. Senza rassegnazione, con una sfacciata ironia, ma anche con una costante velatura di malinconia, Angelo Di Ventura partigiano, nome di battaglia Arcangelo, combatte. Che ci sia da salvare la democrazia e la dignità del Paese, o da conquistare un amore con cui passeggiare almeno un’ora al giorno perché questo bisogna fare con la donna della propria vita, bisogna farla camminare, tenerla viva, alimentare la speranza che ci sia un posto in questo mondo nel quale la vecchiaia come lei l’ha sempre immaginata non esiste. D’altronde un partigiano è sempre un partigiano, nonostante un’anca sbilenca, la pensione minima e il passaggio al digitale terrestre.