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A 5 stelle di distanza.

Per anni si è detto e scritto circa la distanza tra deputati e persone comuni. Tra la politica economica e le bollette da pagare. Tra le politiche sociali e la mancanza di diritti certi per tutti. Tra le politiche fiscali e i pagamenti ritardati o le fatture non saldate. Si è detto e scritto, insomma, di quanto fosse diventata esasperatamente incalcolabile (e, forse, irreversibile) la distanza tra “la politica” e la vita di tutti i giorni. E’ ovvio – s’è sempre detto e scritto – so’ tutti uguali, fanno tutti schifo!

Alle elezioni politiche del febbraio 2013 una percentuale di quell’esasperazione ha dato fiducia a chi la voglia di ridurre (anzi, di azzerare) quella distanza la urlava, senza giri di parole prima su internet e poi nelle piazze. A furia di vaffanculo, ma vabbè (a volte ci stanno). Una buona percentuale, per carità. Ma pur sempre una percentuale. Anzi, una percentuale di una percentuale. Perché nessuno (nessuno! partito, movimento o elettore che sia) deve ignorare come anche un lusinghiero 20% sia pur sempre il 20% di un 50%.

Comunque, s’è detto e s’è scritto, che quella percentuale avrebbe pesato. Che le sentinelle a 5 stelle avrebbero circondato il parlamento e l’avrebbero aperto come una scatola di sardine. Che le malefatte dei partiti avrebbero avuto le ore contate. Che i “cittadini” avrebbero avrebbero guardato a vista i “nominati”. Anche la scelta degli scranni era parte di questa rivoluzione. Né a destra, né a sinistra, né al centro. Ma in alto, per controllare.

Dopo un anno, però, le sentinelle sembrano più distanti di quanto non lo siano i presunti “sorvegliati”. Sono lì fisicamente, certo. Possono essere chiamati-contattati-consultati (a volte anche comandati) via web, ma sono lontani – anni luce – da quello che tutti (diciamoci la verità, non solo i loro elettori) si aspettavano.

Tanto distanti da aver appreso perfettamente il peggio della “seconda repubblica” e essere incapaci di rappresentare il “meglio” della terza.

Tanto distanti da aver sostituito la “macchina del fango” con quella “dell’insulto”.

Tanto distanti da aver assorbito dagli stessi politici che avrebbero dovuto cacciare come nascondere l’assenza di idee per mezzo di spocchia e presunzione. Anzi, per mezzo di urla e di “vaffanculo” (che, comunque, sarei in grado di distribuire anche io con la stessa magnanimità facendomene però meno vanto).

Tanto distanti da non capire che è anche al loro miope e presuntuoso voler governare a tutti i costi da soli che dobbiamo lo scempio delle larghe intese.

Tanto distanti da precipitare nel torto, anche quando dovrebbero aver ragione.

Tanto distanti da non capire la differenza tra “opposizione” e fascismo.

Troppo distanti.

L’onore offeso della polizia.

Franco Maccari, segretario generale del Coisp, ha denunciato per “vilipendio dell’immagine della Polizia di stato” Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, morto nel 2009 in ospedale durante la custodia cautelare), Lucia Uva (sorella di Giuseppe, morto nel 2008 dopo un fermo dei carabinieri), e Domenica Ferrulli (figlia di Michele, morto nel 2011 durante l’arresto). Sia detto per inciso, poi, che il Coisp è quel sindacato che, nel marzo del 2013, manifestò in favore degli agenti condannati per la morte di Federico Aldrovandi (sotto gli uffici del comune di Ferrara dove lavora la mamma di Federico, Patrizia Moretti).

Che sia chiaro al Sig. Maccari e al Coisp che questi atteggiamenti arroganti e provocatori verso i parenti dei ragazzi morti offendono e feriscono tutti. Ma non spaventano nessuno.

Ha scritto Ilaria Cucchi sull’Huffington Post. “Sono indagata per aver reclamato verità e giustizia per la morte di Federico, di Michele, di Giuseppe, di Dino e di tanti altri morti di stato. Sono indagata per essermi ribellata alla mistificazione ed alle infamanti menzogne sulla morte di mio fratello. Io non mi fermerò, mai. Non avrò pace fino a quando non avrò ottenuto giustizia. […] Queste morti offendono la polizia, questo è sicuro. Offendono lo stato. Questo è altrettanto sicuro. Offendono tutti”.

#chihauccisostefanocucchi?

The ghost of Tom Joad nel 2014. Bruce Springsteen & Tom Morello, “High Hopes” ben riposte.

Il 20 Febbraio 1996 Bruce Springsteen, ospite del Festival di Sanremo, ammutoliva gli spettatori presenti al Teatro Ariston e incantava i telespettatori cantando, con il solo accompagnamento della sua armonica e della sua chitarra, “The ghost of Tom Joad”. Erano passate da poco le 21, e io la ascoltavo per la prima volta. Da quella sera non ho piu’ smesso, perchè “The ghost of Tom Joad” non è solo una delle ballate piu’ belle di Springsteen, è una delle ballate piu’ belle in assoluto. Con la quale – grazie ad una musica essenziale, la voce cruda ed un testo ispirato al romanzo “Furore” di Steinbeck – il Boss schiaffeggia in pieno volto quella boghesia indifferente che, con la pancia piena, si atteggiava a protagonista del New World Order di George Bush sr.
Mom, wherever there’s a cop beatin’ a guy, wherever a hungry newborn baby cries, where there’s a fight ‘gainst the blood and hatred in the air, look for me, Mom, I’ll be there. “Dovunque c’è un poliziotto che picchia un ragazzo, dovunque c’è un neonato che piange di fame, dovunque si combatte contro il proprio sangue e si respira odio, cercami, mamma, io saro’ lì”.

High Hopes, Bruce Springsteen featuring Tom Morello, 2014
High Hopes, Bruce Springsteen featuring Tom Morello, 2014

Il 14 gennaio 2014, quello schiaffo in piena faccia non ha perso forza. Anzi, si è trasformato in una raffica di pugni nello stomaco. Pugni scagliati dalla voce cruda del Boss – sempre la stessa – e dagli assoli della chitarra di Tom Morello. Pugni che, strofa dopo strofa, diventano sempre piu’ violenti e sempre piu’ attuali.
Wherever there’s somebody fightin’ for a place to stand, or a decent job or a helpin’ hand, wherever somebody’s strugglin’ to be free, look in their eyes Mom you’ll see me. “Dovunque c’è qualcuno che deve lottare per un posto dove stare o un lavoro decente o una mano amica, dovunque c’è qualcuno che combatte per essere libero, guarda nei suoi occhi, mamma: mi vedrai”.

7’34” di rabbia, di lotta, di passione.
7’34” di grande, grandissimo rock.

500 NO al MIBACT, Manifestazione Nazionale a Roma.

11/01/2014 - 500 NO al MIBACT, Manifestazione Nazionale a Roma.E’ molto difficile pensare che persone che si occupano di salvaguardia del patrimonio artistico italiano possano trasformarsi in un gruppo di ribelli arrabbiati. Per riuscirci bisognerebbe nominare una serie di Ministri dei Beni Culturali che, se si fossero trovati nella Firenze del 400, avrebbero impedito il Rinascimento. Bisognerebbe far cadere nel vuoto, fischiettando distrattamente, i moniti del Presidente della Repubblica. Bisognerebbe creare una classe di burocrati talmente grigi e talmente rigidi da impedire anche alle idee migliori (e magari economiche) di svilupparsi. Bisognerebbe avere a disposizione 2 milioni e mezzo di euro per “la cultura” e destinarli ai tirocini di 500 giovani: un tozzo di pane in cambio di un reale (quantificato e organizzato) sfruttamento lavorativo. Appunto.
Parafrasando Il testo della canzone “Kunta Kinte” di Daniele Silvestri,  potremmo dire che “l’unico miracolo politico riuscito a questo governo e’ avere fatto in modo che gli schiavi si siano parlati e organizzati”.  E infatti stamattina, archeologi, archivisti, bibliotecari, catalogatori, storici dell’arte, restauratori, funzionari pubblici e dirigenti di aziende private si sono parlati, organizzati e riuniti a Roma, in Piazza del Pantheon. Per dire, appunto, #500NO al Mibact. [Galleria fotografica]

11/01/2014 - 500 NO al MIBACT, Manifestazione Nazionale a Roma.Per dire NO al bando “500 giovani per la cultura”, di cui si e’ parlato – e ho parlato – abbondantemente, e alle successive modifiche apportate dal Ministero dopo le aspre critiche ricevute (chiaro segnale di come fosse stato scritto superficialmente e frettolosamente. E sarebbe opportuno che qualcuno se ne assumesse la responsabilita). Per dire NO, quindi, ad una visione della “formazione” come speranza di una successiva “sanatoria” (con conseguente miracolosa assunzione). Visione che ha creato, e crea, una Pubblica Amministrazione “della scorciatoia” e non un esempio di legalità e riconoscimento del merito.
Per dire NO all’immobilismo della politica e chiedere l’impegno del Governo e del Ministro per la creazione di condizioni favorevoli all’innovazione del settore (e nel settore).
Per chiedere che si voti senza indugi la proposta di legge Orfini-Ghizzoni per il riconoscimento delle professionalità operanti nei Beni Culturali, cancellando, dopo 10 anni, l’orrore della legge 14/1/2004 che le equipara alle professioni che non necessitano di alta formazione accademica. Nonostante sia stato ritirato l’appoggio dai parlamentari del M5s (..e qui si dovrebbero fare molte e aspre considerazioni politiche).
Per chiedere che il Miur imponga agli altri Ministeri e alla Pubblica Amministrazione il riconoscimento delle figure già formate.
Per chiedere un radicale (e comunque tardivo) cambiamento nelle politiche di investimento sui Beni Culturali. Affinché nei grandi progetti di restauro del patrimonio storico-artistico e archeologico, una percentuale dei finanziamenti venga destinata al coinvolgimento dei singoli professionisti, delle cooperative e delle piccole aziende nelle fasi di studio, ricerca ed analisi. E non solo, quindi, alle grandi aziende di appalto edilizio.

Per chiedere, quindi, che si dia finalmente sostanza e respiro ad una politica culturale sempre piu’ in ritardo rispetto all’Europa ed alle necessità dell’Italia. Attraverso proposte concrete e dirette, attraverso un auspicabile dialogo fra chi il settore è chiamato a dirigerlo e chi a farlo funzionare e “vivere”. Proprio per questo mi ha lasciato perplesso l’intervento (che ho trovato esasperatamente antagonista) della rappresentante del Teatro Valle Occupato. Bella realtà romana, per carità. Ma perché un intervento a favore della lotta, dell’autodeterminazione e contro la politica, in una manifestazione che, invece, proprio alla politica chiedeva soluzioni (politiche) su punti molto ben delineati?

E poi, poi c’è il Ministro Bray. Coi suoi “cinguettii”. A manifestazione in corso eccone uno in cui esprime la “condivisione della protesta e il suo impegno a portare le ragioni dei manifestanti al governo”. Praticamente condivide la protesta contro se stesso. Ma, ovviamente, non si dimette.
11/01/2014 - 500 NO al MIBACT, Manifestazione Nazionale a Roma.