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Non c’è una livella per tutti.

A morte ‘o ssaje ched’e”…e’ una livella.

 ‘Nu rre, ‘nu maggistrato, ‘nu grand’ommo, 
trasenno stu canciello ha fatt’ ‘o punto 
c’ha perzo tutto, ‘a vita e pure ‘o nomme: 
tu nun t’he fatto ancora chistu cunto?

Questo scriveva Totò nella celebre ‘A livella. E’ vero? In parte.

Siamo tutti uomini, mortali. Impotenti di fronte alla morte. Ma non uguali. E non è un discorso religioso, una tiritera di peccati, buone azioni, pentimenti eccetera. E’, a pensarci bene, un discorso di Storia. Perché il giusto e lo sbagliato sono due categorie che esistono, e devono esistere. E con loro la giustizia e l’orrore. Categorie che la Storia analizza, contestualizza, che addirittura può arrivare – ed è arrivata – a mettere in discussione, ma che non cancella mai.

Così ha fatto Roma, che non ha cancellato niente. Via Tasso, via Rasella, le Fosse Ardeatine. E sopportando la faccia strafottente di Priebke durante gli arresti domiciliari, le sue passeggiate ai giardinetti, addirittura lo champagne per il suo compleanno, ha sconfitto il carnefice affidandosi a quella giustizia a cui la Storia arriva sempre. Perché un colpevole è sempre un colpevole, anche se anziano. Un boia è sempre un boia, anche da morto.

Erich_Priebke_in_servizio_presso_l'ambasciata_tedesca_di_RomaE quel boia morto, anche se a 100 anni, è quello di questa foto, con la sua linda divisa da ufficiale nazista. E le mani macchiate di sangue ben nascoste dietro la schiena.

Nel 2006 Luis Sepulveda scriveva su “la Repubblica” queste parole a proposito di Pinochet. Credo calzino a pennello.

Vorrei essere in Cile tra i miei cari e condividere con loro la spumeggiante allegria di sapere che finalmente finisce l’odiosa presenza del vile che ha mutilato le nostre vite, che ci ha riempito di assenze e di cicatrici. Smette di respirare un’aria che non gli appartiene, di abitare in un paese che non merita, tra cittadini che per lui non provano altro che schifo e disprezzo. Ma muore, e questo è quello che importa.

Nessun perdono, mai.

Lampedusa, un punto nel mappamondo. In Italia.

Lampedusa è un puntino sul mappamondo.

Ma un punto, per quanto piccolissimo, è anche l’incrocio di una quantità infinite di linee diverse. Linee che partono dalla Siria, dalla Libia, dall’Etiopia, dall’Angola, dall’Eritrea, dal Pakistan, dal Bangladesh, dal Camerun o dall’Egitto. E attraversano quel piccolo punto sul mappamondo per arrivare in Italia, in Francia, in Germania, in Spagna. In Europa, quindi. L’Europa delle tasse, dell’Euro, dello spread, della finanza. Che è anche, per qualcuno, l’Europa senza guerre, con le scuole e gli ospedali. L’Europa dove c’è un padre o un marito da raggiungere. Dove si può morire di povertà, purtroppo, ma non saltando in aria su una mina antiuomo. Né di sete o per un’influenza.

E non si tratta di buonismo, come qualche giornalista da quattro soldi ha titolato a tutta pagina. Perchè la chance di attraversare il Mediterraneo su una barca arrugginita e disastrata in cui vengono stipate, come animali, 500 persone, sarà sempre un rischio ragionevolmente accettabile quando si scappa da paesi squassati dalle guerre civili o depredati di ogni risorsa.

Quello che è accaduto deve diventare il monito affinchè l’Europa diventi davvero una comunità. Che affronti insieme quello che accade sui suoi territori e intorno ad essi. Perché se Lampedusa è il punto di incrocio di queste linee, di quello che accade in questo punto non possono non interessarsi i paesi dove queste linee – questi viaggi – terminano. Non si può delegare ad una sola nazione il compito di farsi carico del primo intervento e della prima gestione (quella sempre più urgente e difficile) dei fenomeni migratori. Né si possono lasciare i pescatori, la gente comune, davanti alla drammatica scelta tra aiutare o far rispettare la legge. Perché quando degli uomini disperati rischiano di annegare chi può deve tendere la mano. E anche se (credo) saranno stremati dal protarsi di questa situazione, dalle fughe dal centro di accoglienza, dai morti in mare e anche dalle risse e dai pericoli a cui, inevitabilmente, sono esposti, gli abitanti di Lampedusa (il puntino nel mare, in Italia) tendono la mano mentre l’Europa parla di economia, finanza, mercati.

Perciò, cara la mia comunità internazionale, tu tieniti il tuo spread, che io mi tengo la mia gente.

Fatemi capire: i diritti, il Pd e Papa Francesco.

Quindi, fatemi capire.

Ieri la Camera ha votato la proposta di legge contro l’omofobia. Un atto di civiltà, in ritardo ma comunque un atto di civiltà. La legge estende ai reati fondati sull’omofobia o sulla  transfobia le aggravanti previste dalla legge Mancino (aumento di pena fino alla metà).

Relatore, per il PD, Ivan Scalfarotto. Non uno qualunque. Vicepresidente del Partito Democratico, ex candidato alla leadership nazionale alle primarie del 2005 (addirittura!!), attivista per i diritti LGBT.

La norma passa con i voti di Pd, M5S, Sc, Sel ma (ebbene si, c’è un ma!) il Pd, compreso il relatore Ivan Scalfarotto, ha anche votato un emendamento presentato dal deputato Gregorio Gitti di Scelta Civica che esclude dall’applicazione le “opinioni espresse all’interno di organizzazioni di natura politica, culturale o religiosa”. Immagino il sollievo dei camerati di Forza Nuova o dei militanti di Militia Christi già intenti a cercare sul dizionario i sinonimi di “frocio”, “ricchione” e “invertito”..

Contemporaneamente veniva reso noto il testo di un’intervista  rilasciata da Papa Francesco al direttore della rivista Civiltà Cattolica Antonio Spadaro.

Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite, poi potremo parlare di tutto il resto. E al riferimento diretto ai divorziati risposati e alle coppie omosessuali: bisogna sempre considerare la persona. Nella vita Dio accompagna le persone, e noi dobbiamo accompagnarle a partire dalla loro condizione. Bisogna accompagnare con misericordia. […] Una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza. La proposta evangelica deve essere più semplice, profonda, irradiante. È da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali.

Il Papa fa il Papa, per carità. Non bisogna dimenticarlo. Ma la Storia ci dimostra come ci siano tanti modi per farlo. Parlando solo ai credenti o, come Bergoglio, cercando di parlare a tutti. Quindi le espressioni “curare le ferite”, “vicinanza”, “prossimità”, “accompagnare la persona” anche al PD qualcosa dovrebbero dire. O sono troppo di sinistra?

Volevo solo pedalare un po’. Parte seconda.

L’inchiesta a puntate che “la Reubblica” sta realizzando in questo periodo sullo stato di degrado delle piste ciclabili di Roma, è arrivata – finalmente – alla Magliana (leggi qui). Ne avevo scritto ad Agosto, raccontando la mia esperienza da cicloturista lungo il tratto di ciclabile che da via della Magliana arriva nella zona di Tor di Valle. Lo avevo ricordato successivamente, dopo aver letto il primo articolo dedicato dal quotidiano al tema. E’, in effetti, un argomento che mi interessa molto, non solo per una normale sensibilità da ciclista. Credo, infatti, che metta in grande risalto le contraddizioni in cui cadono le amministrazioni quando, di fronte a questioni pratiche, quotidiane, che necessiterebbero di un approccio maggiormente diretto e meno “politicizzato”, per convenienza o per avidità si nascondono dietro agli slogan. Ambiente. Sostenibilità. Sicurezza. Integrazione. Ma l’ambiente va curato. La sicurezza garantita. L’integrazione perseguita – certo – ma non in condizione di subalternità. Le condizioni di degrado, urbanistico e sociale, non possono essere nascoste sotto un tappeto di parole ad effetto, in attesa di temi migliori.

Una birretta consapevole.

Ieri sera sono stato a sentire Pippo Civati alla festa di “Left” (a Roma, nell’ex mattatoio di Testaccio, adesso Città dell’Altra Economia, un luogo per la promozione e la diffusione di consumi e comportamenti sostenibili e consapevoli). Sul palco campeggiava lo slogan delle tre serate, la costituente delle idee. Sul fondo dello spazio (il restaurato Campo Boario) troneggiava lo striscione Il cuore a sinistra. Comunque, tra una polemica sui 101 e una pernacchia alle larghe intese, tra uno strale a Renzi e l’altro, alla festa della rivista col cuore a sinistra realizzata alla Città dell’Altra Economia, tra diffusione della cultura e condivisione dei comportamenti consapevoli un bicchiere di birra annacquata costava 5,00€. Consapevolmente.

P. S. Al centro del Campo Boario spiccava il parcheggio delle auto (degno delle discoteche di fronte). Evidente simbolo di consapevole sostenibilità. Di bene in meglio.