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Il paradosso del poliziotto.

Mi sono imbattuto nel “Paradosso del poliziotto” casualmente, una domenica pomeriggio, curiosando in una libreria mentre passeggiavo tra piazza Navona e via del Governo Vecchio. Mi ha attirato il titolo, perché erano i giorni seguenti alla sentenza sul caso Stefano Cucchi. Sentenza che di paradossi ne ha tanti. [sul tema mi sono sfogato qui].

Gianrico Carofiglio, Il Paradosso del poliziotto - Nottetempo.
Gianrico Carofiglio, Il Paradosso del poliziotto – Nottetempo.

Nel libricino (40 pagine) di Gianrico Carofiglio, un anziano poliziotto, in un bar, parla con un giovane scrittore di indagini, di tecniche di interrogatorio e, di conseguenza, di come il dubbio abbia – anzi, debba avere – un ruolo fondamentale nel lavoro dell’investigatore. “Io non mi fido mai di una confessione a cui non ho assistito”, è la frase semplice con cui il personaggio del vecchio poliziotto (un po’ troppo stereotipo del “buono”, però: studente di filosofia, figlio di militanti del PCI, diventato poliziotto per esigenza di autenticità esistenziale) inizia a marcare la differenza tra l’uomo e l’automa. Nelle sue parole, infatti, pagina dopo pagina il significato di “dubitare” si trasforma, perdendo il senso investigatorio iniziale e diventando una sorta di valore etico, un modo virtuoso per affrontare la vita e gli altri, senza preclusioni, “buoni” o “cattivi” che siano.

La lama del rasoio.

Massimo Lugli, "La lama del rasoio" - Newton&Compton
Massimo Lugli, “La lama del rasoio” – Newton&Compton

Ho comprato questo piccolo libro della Newton&Compton casualmente, pescandolo in una montagna di copie della stessa collana sistemate (strategicamente) accanto alla cassa di una libreria. Mi aveva incuriosito – lo confesso – il prezzo (0,99€) e l’insieme incredibilmente eterogeno di autori. Lugli accanto a Dostoevskij, in effetti, può sembrare una forzatura… Ma nonostante l’edizione ultraeconomica e ultratascabile il thriller vale racconti ben più celebrati (e ben più costosi). La penna dell’autore, inviato di “Repubblica” per la cronaca nera, è affilata come la lama che da il titolo al libro. La trama si complica e si arricchisce progressivamente partendo da una serie di delitti che, inizialmente, sembrano privi di collegamento e che saranno il pretesto per descrivere figure e scorci di società diversi e incompatibili. E questa diffusa incompatibilità è la caratteristica del protagonista, Marcello Mastrantonio, un funzionario della squadra Mobile “sui generis” (che “stancamente” si avvicina alle ferie), che tra arti marziali – di cui, d’altronde, Lugli è istruttore – e illuminazioni buddiste regge il confronto con vale personaggi della letteratura più conosciuti e famosi. Una lettura veloce, economica, ma cruda come nella tradizione dei migliori thriller!

P.S.: non ho resistito e ho comprato anche Dostoevskij, però.

Il sogno di volare.

Carlo Lucarelli, "Il sogno di volare" (Einaudi)
Carlo Lucarelli, “Il sogno di volare” (Einaudi)

Il ritorno dell’ispettrice Grazia Negro lo aspettavo da tanto tempo.

Un personaggio ricco di contrasti, come consuetudine per la penna di Lucarelli. L’aspettavo, l’ispettrice Grazia Negro, dopo Almost blue (che rimane, per me, il più bello tra i thriller di Lucarelli) ed Un giorno dopo l’altro, indagare, tormentarsi e mordersi la guancia, dentro una Bologna profondamente cambiata. Meno vivace, più stanca, più grigia, e (se possibile) più provinciale.

Come in Almost Blue, anche questa volta la trama e i colpi di scena si snodano attorno ai versi di una canzone, Il Sogno di Volare del cantautore Andrea Buffa. Un brano che non conoscevo (sono andato a recuperarlo su youtube) e che in effetti, come racconta lo stesso Lucarelli in questa presentazione, trasmette tristezza, rabbia e disagio. Ma trovo che le parole (e le note) di questa canzone trasmettano anche un amore denso e profondo. Come l’ispettrice Grazia Negro.

A viso coperto.

Sono sempre un po’ scettico quando sento parlare contemporaneamente di manifestazioni, di tifo violento, di G8, di celerini e di ultras. Non mi piacciono le semplificazioni. Non mi è piaciuto ACAB (Carlo Bonini, Einaudi), tantomeno la sua versione cinematografica (2012, prod. Cattleya e Rai Cinema), affidata a Sollima sull’onda del successo della serie televisiva Romanzo Criminale. Non mi piacciono le semplificazioni, quindi non mi è piaciuta quella semplificazione delle semplificazioni. Per questo, quando mi è capitato di imbattermi, nel corso di un frenetico zapping serale, in una presentazione di “A viso coperto” (mi sembra nel programma della Dandini) l’avevo ascoltata distrattamente.

"A Viso Coperto" - Riccardo Gazzaniga, Einaudi
“A Viso Coperto” – Riccardo Gazzaniga, Einaudi

Poi, quando in libreria ho iniziato, per curiosità, a sfogliarne le prime pagine, l’ho fatto con la spocchia di chi ha già un giudizio predefinito. Però Sbagliavo. Me ne sono reso conto subito (per fortuna!!). Coinvolgente, dal ritmo serrato,  mai banale. Riccardo Gazzaniga, l’autore,  è un Sovrintendente della Polizia. Conosce, quindi, anche le sfumature di ciò di cui scrive. E infatti l’esperienza e la padronanza del tema si trovano nelle descrizioni delle vicende dettagliate ma mai ridondanti. I personaggi, tratteggiati senza censure anche negli aspetti piu’ negativi, non sono mai ridotti a stereotipi, a “macchiette”. Il libro non va alla ricerca dei “Cattivi” ma – ed è la cosa che ho trovato pi interessante – non definisce i confini all’interno dei quali trovare i “Buoni”. L’odio tra celerini ed ultras non è spiegato, ma è lasciato percepire progressivamente al lettore attraverso i personaggi (le loro storie, i loro caratteri). Il coinvolgimento raggiunge l’apice nelle cronache che i diversi personaggi – ultras, celerini, agenti della digos – fanno dello scontro finale. Scontro dove tutto si mischia e si confonde. E solo al termine della battaglia, quando anche per il lettore si dirada il fumo dei lacrimogeni, si riesce a percepire quanto anche le emozioni piu’ intense, spesso, abbiano la forma dello scontro. Amicizia, paura, amore, coraggio.

“A viso coperto” è bello. Molto. Ed è complesso. Molto.

La donna dei fiori di carta

La donna dei fiori di carta - Longanesi
La donna dei fiori di carta – Longanesi

Non è solo un noir. Ne “La donna dei fiori di carta” si sovrappongono tanti generi letterari, uno per ogni storia raccontata e per ogni personaggio descritto. Lungo il filo delle parole dei protagonisti si trova il racconto di un viaggio e quello sulla ricerca e sulla conquista dell’amore. E’ tratteggiato il contesto sanguinoso e tragico delle trincee durante la prima guerra mondiale, ma non è un romanzo di guerra. C’è un mistero da risolvere e un affascinante personaggio seduto a fumare sul ponte del Titanic che affonda a cui dare un nome, ma non è un thriller (genere in cui, peraltro, Donato Carrisi eccelle). Ma ogni storia raccontata – e ogni genere affrontato – sembra incompiuta. La sensazione che manchi una frase, un passaggio, una battuta per completare lo sviluppo o concludere ogni intreccio colpisce dall’inizio alla fine. Lo stesso autore – nella nota conclusiva – racconta di come, prima di prendere questa forma, “La donna dei fiori di carta” sia stato un soggetto cinematografico e un monologo teatrale. Probabilmente la vera natura di questo libro è proprio quella descritta nelle sue pagine, quella di una storia nata per essere ascoltata, non letta.