Archivi categoria: Governo

Gli sputi di Grillo.

Il politico Beppe Grillo, evidentemente come da programma (s’intende, democraticamente condiviso da Casaleggio e altrettanto democraticamente sottoposto all’insindacabile e democratica approvazione della rete), insulta gli elettori del Pd con lo stile inimitabile del comico Beppe Grillo.

Cioè come un comico qualunque. Come un comico da quattro soldi.

Come un comico che in crisi di ispirazione ruba le battute (perchè Berlusconi, almeno come comico, non si faceva pagare) e sbraita sul palco a furia di “caccamerda”.

Come un comico che il 14 Aprile farà tappa a Roma, al Palalottomatica, con il primo caso di comizio politico a pagamento.

Come un comico al tramonto che per attirare spettatori sputa sempre di più, e sempre più in alto.

Solo che, come dice un mio amico napoletano, Nu’ sputà ‘ncielo, ca ‘nfaccia te torna.

L’Italicum, dubbi e speranze.

Cito l’On. Roberto Giachetti. Fare ha un prezzo ed è molto più difficile che disfare. Fare insieme necessita l’esercizio di una particolare intelligenza in grado di predisporci a comprendere che quella parola ‘insieme’ nega il principio che la ricetta sia una sola: la nostra. Fare insieme necessita di una disponibilità al confronto e alla rinuncia del ‘tutto noi’. Accade poi che chi non si predispone a questo, chi si chiama e si tiene fuori, non può/sa far altro che opporsi a tutto a prescindere, rinunciando anche a quella parte di proprio che invece avrebbe potuto spendere per il raggiungimento di un obiettivo.

Parole che condivido.

Detto questo, l’Italicum non è, per me, la legge elettorale ideale. Anch’io, come molti, avrei preferito il ritorno al “Mattarellum” e per questo ho sostenuto, nei mesi scorsi, l’iniziativa dello stesso Giachetti. Iniziativa che, però, per una particolare alchimia, ha visto la strenua opposizione dello stesso PD (prima) e M5s (poi). E’ bene non dimenticarlo. Anch’io poi, come molti, ho i pruriti quando sento parlare di accordo Renzi-Berlusconi. Ma non dimentico, come fanno invece alcune semplificazioni giornalistiche (o 5stellistiche, o sinistraelibertistiche) che l’accordo è fra i rappresentanti dei 2 maggiori partiti in Italia. Perché, insisto, piaccia o no, questo è ancora Berlusconi.

Trovo però positivo che il sistema approvato oggi preveda una soglia per il premio di maggioranza, un eventuale ballottaggio e dei collegi plurinominali. Collegi che, seppur con qualche limite, collegando 4 o 5 candidati a un territorio evitano lo squallido sistema delle “liste bloccate” previste dal Porcellum. Sono invece sinceramente sconcertato sulla decisione di rendere valido il sistema solo per la Camera. Per un motivo strettamente legato agli intenti del governo. E’ possibile votare con due sistemi completamente diversi, l’Italicum per la Camera e il proporzionale puro per il Senato? Mi sembra un controsenso se l’obiettivo è creare un sistema che consenta, a chi vince, di governare. Devo quindi credere che, a breve, si procederà alla riforma del Senato. O no?

E nel frattempo, mi chiedo, con quali (e quanti) senatori si garantirà l’iter della legge? Con quelli che, fin da ora, dichiarano che la stessa deve essere profondamente cambiata?

Insomma, Renzi si è preso un bel rischio. Portare a casa questo primo risultato, anche se con molte sofferenze, questo primo risultato sarebbe molto importante, per “sturare” una conduttura “attappata” e consentire all’acqua di riprendere a scorrere. Magari non velocemente come – “una riforma al mese” – aveva annunciato il Premier, ma comunque a scorrere. Altrimenti si rischia un altro pantano.

La crisi isterica di Marino.

L’ira di Marino dopo il ritiro del decreto “Salva Roma” da parte del governo, è stata giusta. Anche sacrosanta, visto che quel decreto è stato fermo 42 giorni in commissione bilancio al Senato e poi sottoposto alla valanga di emendamenti di Lega e M5s (e come ti sbagli..). Ma è stata talmente sbagliata nei modi da sembrare una crisi isterica. Seria, grave, ma pur sempre solo una crisi isterica.

Ha dato l’idea – sbagliatissima, appunto – di una città (perché è nella città in generale che ognuno identifica un’amministrazione comunale) in grado di “mantenersi” solo chiedendo, cappello in mano, soldi e aiuti allo Stato. E ha distolto l’attenzione da tre cose che sono, invece, fondamentali. Fondamentali per la politica e per l’idea di città che il sindaco e i partiti della coalizione che lo sostiene hanno (o dovrebbero avere) della città.

La prima: che le risorse per i bilanci in questione non saranno a carico delle finanze pubbliche (la norma di emergenza, infatti, si basa sulle risorse già disponibili spostandole dalla gestione straordinaria al bilancio ordinario del Comune). Non si tratta, quindi, “dell’ennesimo regalo a Roma Ladrona” come sostengono i sottili pensatori di verde vestiti, anzi. I debiti in questione, infatti, sono pagati dai cittadini romani con l’aumento dell’Irpef. Soluzione peraltro trovata all’epoca di Alemanno, tanto per fare subito chiarezza a vantaggio dei detrattori-per-principio della Sindaco.

La seconda: che questo “intervento d’emergenza” (per usare termini medici cari al Primo Cittadino) si incastra con le iniziative che il Comune sta attuando per riorganizzare e rimettere in funzione una macchina amministrativa che risulta o troppo arrugginita o, se pensiamo ai casi Ama-Atac-Malagrotta-Polizia Municipale, troppo “oliata”.

La terza: che Lega (e i suoi proclami alla guerra e al commissariamento di roma da affidare a Nerone) e M5s (con la deriva politicante dimostrata sul decreto relativo agli enti locali, giusto per creare un fastidio al nuovo governo) per l’esigenza di recuperare consenso e visibilità ad atteggiamenti aggressivi e inaffidabili.

E invece, “da domenica blocco Roma”, “non ci sono i soldi per il gasolio dei bus”, “non ci sono gli stipendi dei dipendenti comunali”, “bisognerebbe inseguire i politici coi forconi”….

l’emozione (e il rischio) di vedere il PD giocare all’attacco.

Quante volte ho sbraitato contro l’immobilità politica del PD? Provo a ricordare, ma perdo subito il conto. Tante volte, sicuramente, negli ultimi anni, mentre si logorava in primarie territoriali, comunali, regionali, nazionali (in primarie delle primarie, a volte) mentre elettori, militanti e simpatizzanti, si aspettavamo provasse, almeno, a condizionare l’agenda del governo Monti. Tante volte, negli ultimi mesi, assistendo all’umiliazione in diretta streaming nel tentativo di pietire un precario sostegno al M5s. Tante volte vedendo “il compagno Fassina” parlare di riforma del lavoro, di diritti, di sindacati, e poi governare a braccetto con Brunetta. Tante volte, negli ultimi giorni, assistendo all’inutile recita di due leadership dimezzate: quella di Letta – il premier per caso, perchè non c’era niente di meglio – e quella di Renzi, stravincitore delle ennesime primarie ma, di fatto, ancora (anche di piu’) rifiutato da quella “minoranza della minoranza” che, inesorabile e immutabile, continua ad affollare di chiacchiere i circoli e le manifestazioni (probabilmente per esorcizzare il timore di non riuscire ad ampliare la già vastissima collezione di sconfitte). Per questo era necessaria (e, nel mio piccolo, auspicavo) una reazione politica. E piaccia o non piaccia, la si chiami #staffetta o sostituzione, forzatura o pugnalata, quella di Renzi è una mossa politica. Crudele? Può darsi. Dura? Sicuramente. Spregiudicata? Forse. Ma politica. Perché adesso è il PD che è chiamato ad essere protagonista e a tenere fede agli impegni dichiarati nel corso delle primarie e rilanciati nella direzione di giovedì. E’ dalla linea del PD che dipenderà quella del governo. Che può sembrare una ovvietà, ma non lo è. E finora, si è visto, la distanza tra i due ha portato solo all’ennesima tipologia di immobilismo. Però, per poterci riuscire, era necessario dimostrare di non avere paura dei “vecchi squali” alla Casini, pronti a gettarsi da una parte o dall’altra della mischia a seconda della legge elettorale che sarà approvata. Era necessario non farsi intimidire da Berlusconi, rilanciando invece di inseguirlo. Dimostrare di non temere il “logorio” di Palazzo Chigi in vista di presunte vittorie future. Piaccia o non piaccia, era necessario tornare a fare politica stando all’attacco. A me piace il calcio, molto. E so bene che giocare all’attacco non è mai garanzia di vittoria. Ma, di sicuro, senza attaccare non si segna. E senza goal non si vince.