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Quella notte sono io. Un romanzo sulla responsabilità.

Giovanni Floris, Quella notte sono io, Rizzoli.
Giovanni Floris, Quella notte sono io, Rizzoli.

Germano, Lucio, Margherita, Silvia e Stefano sono inseparabili. Germano, il Kapo, fascista, prepotente e manesco. Lucio, arrogante e saccente. Margherita, semplice e affascinante, Silvia, ricca e bellissima. E Stefano, “bello e sano”. Più adatto ad un college americano che a un liceo romano, ingenuo. Affiatati e uniti (apparentemente), sono un gruppo. Ma sono anche un branco. Aguzzini, persecutori spietati di Mirko, il diverso. Lo stupido. L’handicappato. Il debole da deridere e umiliare. Persino da “sacrificare”, facendolo precipitare dal balcone di un albergo durante una gita.

Sarà, anni dopo, una lettera dello stesso Mirko (il vero e proprio protagonista assente) a farli incontrare di nuovo e, in una casa trasformatasi improvvisamente in una Alcatraz inespugnabile, a catapultarli dentro un implacabile processo alle loro azioni, alle loro superficialità, alle loro meschinità. Con uno stile asciutto e diretto e un ritmo incalzante Giovanni Floris evita la melensa retorica anti bullismo rifiutando la dicotomia buono-cattivo. A far definitivamente deflagrare il “gruppo” infatti non è il rimorso verso la vittima, ma l’improvviso e (a loro giudizio) inspiegabile rovesciamento dei ruoli. Germano, Lucio, Margherita, Silvia e Stefano diventano, di colpo, un gruppo di “diversi”. Lontani anni luce da quella mimetica “normalità” nella quale, dopo averla disprezzata, vorrebbero nascondersi e confondersi.

Obbligati a fare i conti, per la prima volta, con il senso di responsabilità. A sentirne il peso. A percepirne, sulla pelle, le sfumature drammatiche. E a decidere se continuare a scapparne o affrontarlo.

Lo sguardo di Annibale.

Lo sguardo di Annibale, Edizioni Efesto, 2016

Lo sguardo di Annibale, Lorenzo Dell’Aquila. Edizioni Efesto, 2016. 

ISBN: 978-88-99104-96-2

Annibale è un bambino di nove anni quando giura il suo odio eterno per Roma e per i romani. Ne ha 26 quando assume il comando delle milizie cartaginesi. Successo militare dopo successo militare diventa una leggenda per la sua gente e un vero e proprio incubo per Roma, che spinge a un passo dalla definitiva capitolazione. Publio Cornelio Scipione è l’avversario che gli infligge l’unica sconfitta militare della sua vita. Una sconfitta definitiva e inappellabile, che incanala la storia nel solco che conosciamo.

Tra il giuramento di Annibale bambino e la caduta di Cartagine passano 37 anni. Trentasette lunghi anni scanditi dal sogno di annientare Roma e culminati nel ritorno in una patria costretta a condizioni di pace durissime. Sarà sconfitto, Annibale. Ma resterà un grande uomo, fedele ai suoi principi e alla sua Patria.

Un grande uomo incappato in un avversario più grande di lui.

Dall’assedio di Sagunto alla sconfitta di Zama, le vicende della “Guerra di Annibale” sono narrate con crudezza e realismo. Sembra di vedere gli occhi iniettati d’odio del condottiero cartaginese. Sembra quasi di sentire le grida dei soldati mentre ingaggiano i furiosi corpo a corpo, e i barriti degli elefanti addestrati al combattimento che seminano terrore e scompiglio tra le legioni romane. Ma crudezza e realismo nulla concedono alla fantasia e all’immaginazione.

Tutto è, rigorosamente, Storia.

Ognuno ha il suo “Addio al Calcio”.

Valerio Magrelli, Addio al calcio, Einaudi.
Valerio Magrelli, Addio al calcio, Einaudi.

90 raccontini divisi in due tempi, da – ovviamente – 45 minuti. “Addio al calcio” è un tentativo curioso, delicato e personale di scovare “letteratura”, epica, poesia nel calcio “quotidiano”. Quello giocato nei parchi e nei campetti di periferia, nei cortili dei palazzi, in piazza, per strada. O magari nei corridoi di casa, con una palla di spugna o arrotolata. Con l’applicazione di cui sono capaci i bambini, assorti, metodicamente impegnati nel cercare di superare, palleggio dopo palleggio, il numero di tocchi prefissato. O, ancora meglio, il calcio giocato fantasticando. Mimando un colpo di tacco e un tiro al volo di sinistro, di notte, al riparo da “occhi indiscreti”, tornando verso casa dopo aver parcheggiato la moto. Due tempi da 45 mini-racconti per raccontare il calcio giocato semplicemente giocando. A qualsiasi età, o nonostante qualsiasi età.

Carino. L’idea più che altro. A volte qualche “minuto” sembra di troppo. Certo, però, a chi non s’appassiona per scarpini, telecronache, maglie, figurine, tornei, calcetti, calciotti, subbutei, calcio-balilla, dopo un po’ ammorba..

Avesta Harun, la guerriera dagli occhi verdi.

Libri, La guerriera dagli occhi verdi, Marco Rovelli, Giunti.

Filiz Saybak è nata nel 1982 a Mezri. E’ la più piccola della famiglia. Cresce coccolata da Tekin, il fratello prediletto, tra alberi di noce, pecore al pascolo, racconti e fiabe narrati dalle calde voci dei dengbej, balli spensierati per la festa del Newroz.

Anche Avesta è nata nel 1982 a Mezri. Anche lei è la più piccola della famiglia. Ha scelto il suo nome di battaglia in memoria di Harun, il fratello prediletto, ucciso in montagna dalle bombe e dai proiettili degli elicotteri turchi.

Filiz è diventata Avesta per continuare la lotta di Tekin, diventato, e morto, Harun.

Libri, La guerriera dagli occhi verdi, Marco Rovelli, Giunti.
Marco Rovelli, La guerriera dagli occhi verdi, Giunti.

Ma Filiz era già Avesta. Era sempre stata Avesta. Nell’incessante ricerca d’emancipazione, nella orgogliosa resistenza alle imposizioni e alle sanguinarie repressioni del governo turco, nel continuo desiderio di conoscenza e di approfondimento, nell’intensa capacità di mettersi al servizio della comunità, di tradurre il personale in collettivo. Compagna, capace di trasformare in scuola una tenda rammendata a fatica. Di diventare Maestra per i bambini tra gli alberi di Behre, nel campo profughi di Ninive o sotto il sole ardente del deserto iracheno, affinché la comunità non debba mai rassegnarsi “al barbaro che è in noi”.

E Avesta è rimasta sempre Filiz. Trasformando il proprio desiderio di “non lasciare a terra l’arma di Harun” nella difesa di un ideale di libertà e democrazia dalla minaccia di un nemico diverso, per una volta condiviso con l’occidente. Comandante, in grado di combattere gli spietati tagliagole di un califfato teocratico in nome della convivenza pacifica di etnie e religioni diverse. Ma soprattutto donna, determinata a respingere, con i libri e con il fucile, quel “dio” maschio e crudele deciso a rendere ogni donna un fantasma.

Marco Rovelli racconta la storia della guerriera dagli occhi verdi sdoppiando il piano della narrazione. Alternando gli episodi dell’infanzia e dell’adolescenza di Filiz, legati alla formazione della sua coscienza politica, alle vicende della partigiana Avesta. Il libro scorre agile come un romanzo, ma le testimonianze dei parenti di Filiz e dei guerriglieri che hanno combattuto al fianco di Avesta (raccolte direttamente dall’autore nel Kurdistan turco e iracheno) lo rendono una preziosa non-fiction novel, in grado di indicare il cuore della lotta di liberazione del popolo curdo: un paese non può essere libero, un popolo non può sentirsi libero, se le donne non lo sono. Questo è il principio che ha animato la breve vita di una giovane guerriera dagli occhi verdi.

Se sai contare

le foglie di questa foresta

se sai contare

tutti i pesci, grandi e piccoli,

del fiume che scorre qui davanti,

se sai contare

gli uccelli al tempo della migrazione

dal nord al sud 

e dal sud al nord

allora scommetto che anch’io riuscirò a contare

i martiri della mia terra,

il Kurdistan.

Il Turista. La “vacanza” di Carlotto.

Un thriller debole, una spy story piuttosto scontata.

Il Turista è un serial killer pressoché inafferrabile, in grado di cambiare identità e spostarsi senza mai lasciare tracce utili ad identificarlo. A Venezia il suo primo ed unico errore lo costringe al servizio dei “Liberi Professionisti, un gruppo di spietati mercenari composto da ex agenti delle squadre di intelligence di tutto il mondo.

Massimo Carlotto, Il Turista, Rizzoli.
Massimo Carlotto, Il Turista, Rizzoli.

I dialoghi, eccessivamente impostati, sono poco credibili. Terribili gli “spiegoni” di riepilogo, che neanche a “Un posto al sole”. Assolutamente inutili ai fini del racconto le descrizioni delle perversioni sessuali dei due psicopatici (sì, perché dai Liberi Professionisti è stata ingaggiata anche un’altra serial killer..). Persino il “buono”, l’ex commissario Pietro Sambo, risulta piuttosto stereotipato. Cacciato dalla polizia per colpa della relazione, clandestina, con una vecchia fiamma che lo ha spinto ad accettare una tangente, abbandonato dalla moglie e rassegnato alle giornate sempre uguali scandite dalla colazione al bar e dal lavoro nel negozio di souvenir del fratello. Per ottenere l’agognata riabilitazione accetta di affiancare nella caccia ai Liberi Professionisti proprio quella che fu la sua più dura accusatrice (ovviamente innamorata di lui). Privo sia del cinismo da maudit che dell’empatia dell’eroe, Pietro Sambo rimane un personaggio incompiuto.

L’ambientazione è sicuramente affascinante. Venezia, i canali, la laguna, il contrasto tra il caos dei percorsi battuti dai turisti e la misteriosa quiete della calli più nascoste. Ma paradossalmente contribuisce a lasciare un’impressione complessiva da “Angeli e Demoni”, da “Inferno”. Quella di un thriller nato per il cinema. Di un “capitolo primo” impostato per diventare – presto, e senza troppe difficoltà – una serie.

Vediamola così. Massimo Carlotto, stanco di scrivere noir eccelsi, si è concesso una vacanza. Speriamo sia breve.