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La regola dell’equilibrio

Con “La regola dell’equilibrio” Carofiglio torna a dar voce al suo celebre personaggio, Guido Guerrieri. L’avvocato barese appassionato di pugilato è chiamato a difendere un suo vecchio compagno di studi, ora magistrato affermato e “in carriera”, accusato di corruzione.

Gianrico Carofiglio, La regola dell'equilibrio, Einaudi.
Gianrico Carofiglio, La regola dell’equilibrio, Einaudi.

Per quanto molto lontana dalle atmosfere da legal-thriller dei precedenti “capitoli” della serie (su tutti, per me, svetta “Testimone inconsapevole”), la penna di Carofiglio tiene sempre viva la storia, senza rinunciare alle lunghe e dettagliate (a volte eccessivamente) digressioni tecnico-legali, tratteggiando un’atmosfera diversa, più “raccolta”. Alla suspense si sostituisce, progressivamente, la riflessione personale, intima. Proprio per questo, però, le riflessioni di Guerrieri (attuale e intensa quella sull’ipocrisia del mondo giudiziario e, in un certo senso, della giustizia in sé) e i discorsi (o gli “scontri”) con l’amico-sacco che pende e oscilla al centro del soggiorno di casa risultano tormentati come delle vere e proprie indagini.

Non è un capolavoro, sia chiaro. Ma è sicuramente un libro da leggere, in cui spiccano le scenografie cittadine (gli scorci serali, la luce soffusa e accogliente di una libreria per nottambuli, una finestra affacciata sulle luci dell’aereoporto) che diventano, pagina dopo pagina, un luogo intenso e ideale.

Il mondo non mi deve nulla.

Il mondo non mi deve nulla, Massimo Carlotto edizioni E/O.
Il mondo non mi deve nulla, Massimo Carlotto edizioni E/O.

Lise è una croupier tedesca. Ha girato il mondo, ha amato e vissuto. Era ricca, ma ha perso tutto. Stesa sul divano aspetta che qualcuno, magari un ladro attirato dalla finestra lasciata ostentatamente spalancata, in cambio dei suoi ultimi risparmi le stringa il foulard sulla gola fino a strangolarla.

Adelmo è un ex operaio costretto dalla crisi a reinventarsi topo d’appartamento. Attraversa Rimini in bicicletta, canticchiando, alla ricerca di una casa da svaligiare che non lo faccia sfigurare agli occhi di Carlina, la sua compagna. Ma Adelmo è un ladro particolare. Indeciso, insicuro, anche poco sveglio. Che però più che voglia di rubare ha voglia di vivere e di non arrendersi.

Il loro incontro è quello tra due opposti. Tra chi pensa di non avere più crediti da riscuotere e chi, invece, si ostina a cercare un motivo per andare avanti.

Vivamente consigliato.

Arab Jazz. Un po’ bello, e un po’ no.

Arab Jazz, di Karim  Miské ha vinto, nel 2012, il Grand prix de littérature policière.

Arab Jazz, di Karim Miské, Fazi.
Arab Jazz, di Karim Miské, Fazi.

Premio sicuramente meritato per la particolare impronta che l’autore ha dato ai personaggi, evidentemente figli – come lui (nato in Costa d’Avorio da madre francese e padre mauritano, e cresciuto in Francia) – di quel cosmopolitismo tipicamente parigino in grado di rendere le differenze culturali e religiose grandi ricchezze o  pericolose fonti di contrasto a distanza di poche fermate di Metro. Sicuramente meritato anche per l’originale protagonista, Ahmed. Cronicamente depresso, incapace di relazioni sociali “normali”, protetto dalla corazza dei gialli che compra a chili, in un negozio di libri usati del quartiere in cui si e’ autoconfinato. Avvincente l’evoluzione dei due livelli di indagine sulla morte di Laura, una giovane hostess dell’Air France: quello ufficiale della polizia e quello “personale” di Ahmed (di cui la ragazza era innamorata).

Pero’ è proprio quel cosmopolitismo che all’inizio caratterizza il libro a diventare presto esagerato. Eccessivo, quando capitolo dopo capitolo si sovrappongono (e confondono) arabi, ebrei, asiatici, africani, turchi, armeni, cristiani, testimoni di Geova, poliziotti corrotti e criminali comuni. Troppe differenze, troppe sfumature diverse, troppi tratti particolari che, pur volendo mettere in risalto i contrasti, finiscono per appiattirsi.

Insomma, l’ho trovato un po’ bello. E un po’ no.

Poi, nota critica per l’editore Fazi: le note alla fine del libro sono scomodissime.

Il sogno di volare.

Carlo Lucarelli, "Il sogno di volare" (Einaudi)
Carlo Lucarelli, “Il sogno di volare” (Einaudi)

Il ritorno dell’ispettrice Grazia Negro lo aspettavo da tanto tempo.

Un personaggio ricco di contrasti, come consuetudine per la penna di Lucarelli. L’aspettavo, l’ispettrice Grazia Negro, dopo Almost blue (che rimane, per me, il più bello tra i thriller di Lucarelli) ed Un giorno dopo l’altro, indagare, tormentarsi e mordersi la guancia, dentro una Bologna profondamente cambiata. Meno vivace, più stanca, più grigia, e (se possibile) più provinciale.

Come in Almost Blue, anche questa volta la trama e i colpi di scena si snodano attorno ai versi di una canzone, Il Sogno di Volare del cantautore Andrea Buffa. Un brano che non conoscevo (sono andato a recuperarlo su youtube) e che in effetti, come racconta lo stesso Lucarelli in questa presentazione, trasmette tristezza, rabbia e disagio. Ma trovo che le parole (e le note) di questa canzone trasmettano anche un amore denso e profondo. Come l’ispettrice Grazia Negro.

La donna dei fiori di carta

La donna dei fiori di carta - Longanesi
La donna dei fiori di carta – Longanesi

Non è solo un noir. Ne “La donna dei fiori di carta” si sovrappongono tanti generi letterari, uno per ogni storia raccontata e per ogni personaggio descritto. Lungo il filo delle parole dei protagonisti si trova il racconto di un viaggio e quello sulla ricerca e sulla conquista dell’amore. E’ tratteggiato il contesto sanguinoso e tragico delle trincee durante la prima guerra mondiale, ma non è un romanzo di guerra. C’è un mistero da risolvere e un affascinante personaggio seduto a fumare sul ponte del Titanic che affonda a cui dare un nome, ma non è un thriller (genere in cui, peraltro, Donato Carrisi eccelle). Ma ogni storia raccontata – e ogni genere affrontato – sembra incompiuta. La sensazione che manchi una frase, un passaggio, una battuta per completare lo sviluppo o concludere ogni intreccio colpisce dall’inizio alla fine. Lo stesso autore – nella nota conclusiva – racconta di come, prima di prendere questa forma, “La donna dei fiori di carta” sia stato un soggetto cinematografico e un monologo teatrale. Probabilmente la vera natura di questo libro è proprio quella descritta nelle sue pagine, quella di una storia nata per essere ascoltata, non letta.