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Incontri di novembre: Alice Allevi e Ellen Roth.

A novembre ho incontrato due donne, in due interessanti libri del catalogo Longanesi. Sono Alice Allevi, protagonista de “L’Allieva” di Alessia Gazzola , e la dottoressa Ellen Roth, protagonista “La Psichiatra” di Wulf  Dorn. Personaggi molto diversi, e diversissimi gli autori, con un modo opposto di tenere il lettore con il fiato sospeso.

"L'Allieva" di Alessia Gazzola. Longanesi.
“L’Allieva” di Alessia Gazzola. Longanesi.

Alice Allevi è una specializzanda in medicina legale protagonista de “L’Allieva”. Appassionata ma distratta. Con un grande intuito ma con troppo poca fiducia nelle sue capacità per servirsene. Sfortunata, nel lavoro come in amore. Sensibile al punto da non sopportare i sopralluoghi sulle scene dei crimini ma anche di appassionarsi, per una serie di coincidenze, al caso dell’omicidio della giovane Giulia ed ai morbosi rapporti che la legavano ai familiari. E nonostante un personaggio così marcatamente “anti-suspence”, l’autrice – al primo romanzo – costruisce un intreccio di vicende e rapporti tra i protagonisti in grado, allo stesso tempo, di far sorridere, immalinconire e tenere sulle spine.

"La Psichiatra", di Wulf Dorn. Longanesi.
“La Psichiatra”, di Wulf Dorn. Longanesi.

“La Psichiatra” Ellen Roth incontra, nella stanza 7 della clinica presso cui lavora, una paziente traumatizzata. Rannicchiata in un angolo, completamente chiusa in se stessa. Che, con la voce di una bambina terrorizzata dall’Uomo Nero imprigionata in un corpo di donna seviziata, le trasmette angoscia e terrore. Intorno a questo incontro – traumatico per la protagonista – ruota la storia. In tutta franchezza, chi sia quella donna terrorizzata si intuisce quasi subito. Così come si riesce a capire abbastanza presto chi sia “l’Uomo Nero”. Ma quello che, fino alla fine, rimane sospeso, misterioso, è il motivo per cui questa donna sia apparsa e poi svanita nel nulla. Dorn ha creato riuscitissime pagine di suspence non sulla ricerca del “chi” ma del “perchè”.

L’inferno di leggere “Inferno”.

Nel 2004 il Codice da Vinci mi era sembrato un bellissimo thriller. Intrigante, curioso, ricco di suspence. Un libro “da vacanza, ovviamente. Non un capolavoro della letteratura mondiale, ma una bella idea. Angeli e Demoni mi aveva lasciato…diciamo perplesso, nonostante l’ambientazione romana. Così come mi hanno lasciato perplesso le trasposizioni cinematografiche di entrambi i libri. Con Tom Hanks credibile nel discettare di arte, storia, filosofia e religione come un pinguino nel deserto del Sahara. Ho saltato a piè pari Crypto, la Verità del ghiaccio e Il simbolo perduto perchè ritengo sia altamente improbabile per uno scrittore produrre thriller di livello a scadenza periodica. Se non in casi rarissimi, ai quali non mi sembra appartenere Dan Brown.

Inferno, Dan Brown - Mondadori
Inferno, Dan Brown – Mondadori

Di Inferno mi ha incuriosito, ovviamente, l’ambientazione italiana. Ma se avessi voluto una guida storico-artistica di Firenze credo che avrei potuto trovare certamente di meglio in qualsiasi edicola della stazione di Santa Maria Novella. E in merito alle citazioni del poema di Dante, i libri del liceo sono infinitamente piu’ accattivanti. Se c’è infatti una cosa che non sopporto, anzi che mi fa proprio rabbia, è avere il ritmo della trama spezzato da lunghe descrizioni che, piu’ che parti integranti dell’opera, sembrano essere sterili dimostrazioni di cultura da parte dell’autore. Ecco, il libro è tutto così. Ora, capisco che il personaggio – Robert Langdon – sia un professore di iconologia religiosa all’Università di Harvard, ma trovo comunque altamente improbabile che un docente, per quanto preparato ed esperto, se inseguito da uomini armati vada in giro declamando nozioni sulla bellezza delle architetture che incontra e sulle biografie degli artisti che le hanno realizzate. Il tutto all’interno di una serie estenuante di fughe da Firenze a Venezia, da Venezia a Istanbul, fino poi a Ginevra, durante le quali i cattivi diventano buoni, i buonissimi diventano cattivissimi e i cattivissimi tutto sommato per i buoni un po’ di ragione ce l’hanno.

Insomma, un inferno.

Le notti bianche.

Le Notti Bianche, Fëdor Dostoevskij
Le Notti Bianche, Fëdor Dostoevskij

Un romanzo di solitudini e di illusioni. Che non conoscevo e di cui non sospettavo, e non avrei mai sospettato, la bellezza. L’incontro tra un uomo, autoisolatosi da tutto e da tutti, ed una giovane in attesa di un amore sospeso o perduto. Due solitudini diverse che, fondendosi, si trasformano in porte aperte verso il mondo. Ma questo sogno di “normalità” dura il tempo di quattro notti, prima che la solitudine dei pensieri, dei sogni, dei sentimenti, torni ad essere l’unica compagna di viaggio del protagonista.

Meraviglioso.

Il paradosso del poliziotto.

Mi sono imbattuto nel “Paradosso del poliziotto” casualmente, una domenica pomeriggio, curiosando in una libreria mentre passeggiavo tra piazza Navona e via del Governo Vecchio. Mi ha attirato il titolo, perché erano i giorni seguenti alla sentenza sul caso Stefano Cucchi. Sentenza che di paradossi ne ha tanti. [sul tema mi sono sfogato qui].

Gianrico Carofiglio, Il Paradosso del poliziotto - Nottetempo.
Gianrico Carofiglio, Il Paradosso del poliziotto – Nottetempo.

Nel libricino (40 pagine) di Gianrico Carofiglio, un anziano poliziotto, in un bar, parla con un giovane scrittore di indagini, di tecniche di interrogatorio e, di conseguenza, di come il dubbio abbia – anzi, debba avere – un ruolo fondamentale nel lavoro dell’investigatore. “Io non mi fido mai di una confessione a cui non ho assistito”, è la frase semplice con cui il personaggio del vecchio poliziotto (un po’ troppo stereotipo del “buono”, però: studente di filosofia, figlio di militanti del PCI, diventato poliziotto per esigenza di autenticità esistenziale) inizia a marcare la differenza tra l’uomo e l’automa. Nelle sue parole, infatti, pagina dopo pagina il significato di “dubitare” si trasforma, perdendo il senso investigatorio iniziale e diventando una sorta di valore etico, un modo virtuoso per affrontare la vita e gli altri, senza preclusioni, “buoni” o “cattivi” che siano.

La lama del rasoio.

Massimo Lugli, "La lama del rasoio" - Newton&Compton
Massimo Lugli, “La lama del rasoio” – Newton&Compton

Ho comprato questo piccolo libro della Newton&Compton casualmente, pescandolo in una montagna di copie della stessa collana sistemate (strategicamente) accanto alla cassa di una libreria. Mi aveva incuriosito – lo confesso – il prezzo (0,99€) e l’insieme incredibilmente eterogeno di autori. Lugli accanto a Dostoevskij, in effetti, può sembrare una forzatura… Ma nonostante l’edizione ultraeconomica e ultratascabile il thriller vale racconti ben più celebrati (e ben più costosi). La penna dell’autore, inviato di “Repubblica” per la cronaca nera, è affilata come la lama che da il titolo al libro. La trama si complica e si arricchisce progressivamente partendo da una serie di delitti che, inizialmente, sembrano privi di collegamento e che saranno il pretesto per descrivere figure e scorci di società diversi e incompatibili. E questa diffusa incompatibilità è la caratteristica del protagonista, Marcello Mastrantonio, un funzionario della squadra Mobile “sui generis” (che “stancamente” si avvicina alle ferie), che tra arti marziali – di cui, d’altronde, Lugli è istruttore – e illuminazioni buddiste regge il confronto con vale personaggi della letteratura più conosciuti e famosi. Una lettura veloce, economica, ma cruda come nella tradizione dei migliori thriller!

P.S.: non ho resistito e ho comprato anche Dostoevskij, però.