Secondo il “Galateo” i fischi sono un inequivocabile segno di maleducazione. Ma al richiamo del “fischio” abbiamo ceduto tutti, almeno una volta. O perlomeno c’abbiamo provato tutti. A qualcuno infatti fischiare riesce bene. Fischi forti, decisi, perentori. Ad altri invece i fischi escono a stento. Sfiati, più che altro.
Fischiano senza pietà i melomani dopo la stecca di un tenore. Fischiano le navi per segnalare una manovra. Ci sono fischi celebri nel calcio, come quello “ a due dita” del Trap prima maniera. Ci sono fischi “musicali” indimenticabili, De Andrè ne “Il pescatore” o Modugno in “Vecchio Frack”. Ci sono addirittura alcuni casi di “lingue fischiate”, in cui fischi di vario genere sostituiscono la lingua parlata.
Ecco cos’è stata Fiorentina-Roma, la sublimazione del fischio.
I fischi dell’arbitro. Che dovrebbero trasmettere autorevolezza, fermezza e rigore. E invece, con in campo Orsato di Schi[f]o risultano essere solo sottolineature approssimative e caotiche di una incontrollabile isteria. Parafrasando, so’ tutti fischi “a cazzo di cane”. I fischietti distribuiti in tribuna, per contestare Salah. Per insultarlo, per togliergli fiducia e tranquillità, per destabilizzarlo. Non male come performance musicale. Magari un po’ corta, perché dopo sei minuti i fischietti erano stati già tutti riposti. Dove? Lasciamolo all’immaginazione.
E i fischioni. Due. Che potevano essere anche tre. Nonostante i fischi, e i fischietti.