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Lampedusa, un punto nel mappamondo. In Italia.

Lampedusa è un puntino sul mappamondo.

Ma un punto, per quanto piccolissimo, è anche l’incrocio di una quantità infinite di linee diverse. Linee che partono dalla Siria, dalla Libia, dall’Etiopia, dall’Angola, dall’Eritrea, dal Pakistan, dal Bangladesh, dal Camerun o dall’Egitto. E attraversano quel piccolo punto sul mappamondo per arrivare in Italia, in Francia, in Germania, in Spagna. In Europa, quindi. L’Europa delle tasse, dell’Euro, dello spread, della finanza. Che è anche, per qualcuno, l’Europa senza guerre, con le scuole e gli ospedali. L’Europa dove c’è un padre o un marito da raggiungere. Dove si può morire di povertà, purtroppo, ma non saltando in aria su una mina antiuomo. Né di sete o per un’influenza.

E non si tratta di buonismo, come qualche giornalista da quattro soldi ha titolato a tutta pagina. Perchè la chance di attraversare il Mediterraneo su una barca arrugginita e disastrata in cui vengono stipate, come animali, 500 persone, sarà sempre un rischio ragionevolmente accettabile quando si scappa da paesi squassati dalle guerre civili o depredati di ogni risorsa.

Quello che è accaduto deve diventare il monito affinchè l’Europa diventi davvero una comunità. Che affronti insieme quello che accade sui suoi territori e intorno ad essi. Perché se Lampedusa è il punto di incrocio di queste linee, di quello che accade in questo punto non possono non interessarsi i paesi dove queste linee – questi viaggi – terminano. Non si può delegare ad una sola nazione il compito di farsi carico del primo intervento e della prima gestione (quella sempre più urgente e difficile) dei fenomeni migratori. Né si possono lasciare i pescatori, la gente comune, davanti alla drammatica scelta tra aiutare o far rispettare la legge. Perché quando degli uomini disperati rischiano di annegare chi può deve tendere la mano. E anche se (credo) saranno stremati dal protarsi di questa situazione, dalle fughe dal centro di accoglienza, dai morti in mare e anche dalle risse e dai pericoli a cui, inevitabilmente, sono esposti, gli abitanti di Lampedusa (il puntino nel mare, in Italia) tendono la mano mentre l’Europa parla di economia, finanza, mercati.

Perciò, cara la mia comunità internazionale, tu tieniti il tuo spread, che io mi tengo la mia gente.

Fatemi capire: i diritti, il Pd e Papa Francesco.

Quindi, fatemi capire.

Ieri la Camera ha votato la proposta di legge contro l’omofobia. Un atto di civiltà, in ritardo ma comunque un atto di civiltà. La legge estende ai reati fondati sull’omofobia o sulla  transfobia le aggravanti previste dalla legge Mancino (aumento di pena fino alla metà).

Relatore, per il PD, Ivan Scalfarotto. Non uno qualunque. Vicepresidente del Partito Democratico, ex candidato alla leadership nazionale alle primarie del 2005 (addirittura!!), attivista per i diritti LGBT.

La norma passa con i voti di Pd, M5S, Sc, Sel ma (ebbene si, c’è un ma!) il Pd, compreso il relatore Ivan Scalfarotto, ha anche votato un emendamento presentato dal deputato Gregorio Gitti di Scelta Civica che esclude dall’applicazione le “opinioni espresse all’interno di organizzazioni di natura politica, culturale o religiosa”. Immagino il sollievo dei camerati di Forza Nuova o dei militanti di Militia Christi già intenti a cercare sul dizionario i sinonimi di “frocio”, “ricchione” e “invertito”..

Contemporaneamente veniva reso noto il testo di un’intervista  rilasciata da Papa Francesco al direttore della rivista Civiltà Cattolica Antonio Spadaro.

Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite, poi potremo parlare di tutto il resto. E al riferimento diretto ai divorziati risposati e alle coppie omosessuali: bisogna sempre considerare la persona. Nella vita Dio accompagna le persone, e noi dobbiamo accompagnarle a partire dalla loro condizione. Bisogna accompagnare con misericordia. […] Una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza. La proposta evangelica deve essere più semplice, profonda, irradiante. È da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali.

Il Papa fa il Papa, per carità. Non bisogna dimenticarlo. Ma la Storia ci dimostra come ci siano tanti modi per farlo. Parlando solo ai credenti o, come Bergoglio, cercando di parlare a tutti. Quindi le espressioni “curare le ferite”, “vicinanza”, “prossimità”, “accompagnare la persona” anche al PD qualcosa dovrebbero dire. O sono troppo di sinistra?

Volevo solo pedalare un po’. Parte seconda.

L’inchiesta a puntate che “la Reubblica” sta realizzando in questo periodo sullo stato di degrado delle piste ciclabili di Roma, è arrivata – finalmente – alla Magliana (leggi qui). Ne avevo scritto ad Agosto, raccontando la mia esperienza da cicloturista lungo il tratto di ciclabile che da via della Magliana arriva nella zona di Tor di Valle. Lo avevo ricordato successivamente, dopo aver letto il primo articolo dedicato dal quotidiano al tema. E’, in effetti, un argomento che mi interessa molto, non solo per una normale sensibilità da ciclista. Credo, infatti, che metta in grande risalto le contraddizioni in cui cadono le amministrazioni quando, di fronte a questioni pratiche, quotidiane, che necessiterebbero di un approccio maggiormente diretto e meno “politicizzato”, per convenienza o per avidità si nascondono dietro agli slogan. Ambiente. Sostenibilità. Sicurezza. Integrazione. Ma l’ambiente va curato. La sicurezza garantita. L’integrazione perseguita – certo – ma non in condizione di subalternità. Le condizioni di degrado, urbanistico e sociale, non possono essere nascoste sotto un tappeto di parole ad effetto, in attesa di temi migliori.

Una birretta consapevole.

Ieri sera sono stato a sentire Pippo Civati alla festa di “Left” (a Roma, nell’ex mattatoio di Testaccio, adesso Città dell’Altra Economia, un luogo per la promozione e la diffusione di consumi e comportamenti sostenibili e consapevoli). Sul palco campeggiava lo slogan delle tre serate, la costituente delle idee. Sul fondo dello spazio (il restaurato Campo Boario) troneggiava lo striscione Il cuore a sinistra. Comunque, tra una polemica sui 101 e una pernacchia alle larghe intese, tra uno strale a Renzi e l’altro, alla festa della rivista col cuore a sinistra realizzata alla Città dell’Altra Economia, tra diffusione della cultura e condivisione dei comportamenti consapevoli un bicchiere di birra annacquata costava 5,00€. Consapevolmente.

P. S. Al centro del Campo Boario spiccava il parcheggio delle auto (degno delle discoteche di fronte). Evidente simbolo di consapevole sostenibilità. Di bene in meglio.

C’è mancato poco…

In fin dei conti, il PD non potrebbe non starmi simpatico. Non c’entra niente la politica, stavolta. E’ un fatto epidermico. Si tratta di vocazioni. In questo caso di vocazione alla sconfitta. Quante volte, dopo una festa tra amici, tra un ultimo giro di Peroni ghiacciate e qualche amaro si finisce a parlare di calcio e a ricordare partite, episodi, goal. E quante volte si torna al racconto epico della vittoria 3-1 contro lo Slavia Praga. La partita del cuore: quarti di finale di Coppa Uefa, 19 marzo 1996. La Roma di Carlo Mazzone era chiamata a rovesciare il 2-0 subito all’andata su un campo ghiacciato. Ricordo il tragitto in motorino (con Federico), le due ore (buone) di attesa, l’inno, i cori, le sciarpe e le bandiere. Il gol di Moriero e quello di Giannini a pochi minuti dalla fine. Ancora Moriero nel primo tempo supplementare. 3-0. Gli abbracci, i cori, le bandiere, le sciarpe. Grande cuore, grande rimonta. Poi Vavra (che tu sia maledetto) 3-1. Grande cuore, grande rimonta, ma in semifinale ci va lo Slavia. Che botta. Però ancora ne parliamo, eccome. Come se l’impresa fosse stata compiuta, perché una sconfitta, se parli di calcio, può diventare un racconto più affascinante di una vittoria. “Ti ricordi? Che partita ragazzi, che gol Moriero, e che dribbling! che cuore Giannini! Cavolo, c’è mancato poco..”.

Ecco, il PD è così. Alla Festa Democratica di Firenze, Pierluigi Bersani è stato accolto con il coro ”Un segretario, c’è solo un segretario!”. Vabbè – mi direte – l’hai già scritto il 23 luglio, è una notizia vecchia. No, è notizia di ieri.  Ma è per questo che sento una affinità fuori dal comune. Perché i militanti del “c’è solo un segretario” non solo hanno visto per l’ennesima volta vanificare le loro speranze, i loro sacrifici e il loro impegno da una classe dirigente capace di perdere elezioni praticamente già vinte…ma dimostrano quello stesso compiacimento nel trasformare in figure epiche i protagonisti della disfatta. Tanto più inaspettata, tanto più rovinosa…tanto meglio. Così Bersani diventa Moriero, Fassina diventa Giannini e D’Alema diventa Mazzone. “Cavolo, c’è mancato poco…”.