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“Dimenticanze”.

Ieri sera nella trasmissione “Di Martedì” ho sentito la Meloni (la candidata a Sindaco di Roma che “non è mai stata fascista”, per intenderci) parlare di Isis e di lotta al terrorismo. Ne parlava, ovviamente, nel modo tipico della nuova destra salviniana sapientemente shakerata coi 5stelle.

Quel modo superficiale e demagogico che su Twitter diventa trend topic con il rilancio dell’hastag #StopIslam, e si sublima su Facebook nei post dove la foto di un personaggio famoso è spacciata per quella di qualche immigrato condannato per reati sessuali.

Quel modo che mischia grossolanamente notizie e invettive, considerazioni e banalità, politica estera internazionale ed interessi di cortile.

Ha parlato (e, francamente, ritengo a ragione) di Europa “sotto attacco”. Ma puntando l’indice sulla presunta inadeguatezza del governo in tema di politica estera ha omesso di ricordare che intanto Erdogan (amico stretto del suo vecchio amico Berlusconi, di cui adesso scarica le scelte, ma nel cui governo è stata Ministro) tra un divieto di twittare e un oscuramento di Youtube, sta sterminando i Curdi. Cioè quegli uomini e quelle donne che hanno risposto e rispondono colpo su colpo agli attacchi delle milizie di Daesh. A Kobane, a Tell Abyad o lungo la frontiera tra Turchia e Siria.

Ha parlato (a ragione) di Europa sotto attacco da parte di un “gruppo terrorista” finanziato da quell’Arabia Saudita che decapita gli omosessuali. “Dimenticandosi”, però, nell’improvviso afflato rainbow, di aver annunciato la sua gravidanza durante il Family Day di Gandolfini, quello che ritiene i gay malati da curare e l’amore omosessuale alla stregua di quello tra cane e padrone.

Dimenticanze.

Che segnano il confine tra un ragionamento ed una serie di colossali stronzatè.

Così, per dire.

Plausibile.

Dunque, a quanto pare, nel Pd romano qualcuno, alla luce di un presunto flop dell’affluenza alle primarie di domenica, avrebbe pensato bene di “dopare” un po’ il numero delle schede bianche. In modo da ottenere un totale di votanti che potesse “salvare la faccia” al partito senza alterare il risultato dello spoglio.

Quindi, per quel “qualcuno”, domenica scorsa (magari tra le 16 e le 18 quando veniva giù il finimondo) qualche migliaio di persone avrebbe preso la tessera elettorale, cercato il “seggio”, lasciato i dati personali, firmato un modulo, contribuito con minimo 2€ per poi votare scheda bianca (nonostante, poi, per mandare in vacca la consultazione, ci fossero diverse opzioni  ben segnalate già direttamente sulla scheda…).

Plausibilissimo. Soprattutto per sminuire l’impegno di tutti quei volontari che sono stati nei circoli e ai gazebo sottraendo tempo a lavoro, svago e famiglie.

Due giganti e una corte dei miracoli.

Sono in ritardo. “In 1/2 ora” con il confronto in vista delle primarie del centrosinistra per il candidato Sindaco a Roma è andata in onda domenica, lo so. Ma l’ho vista solo oggi.

Comunque, io sostengo Roberto Giachetti. Ed è acclarato. Ma il punto, stavolta, non è il “chi è meglio di chi”. Perché per conoscenza della città, capacità di ascolto e proposte di intervento, Giachetti e Morassut sono due giganti. Il punto è che, per una volta che il Pd ha in campo due giganti (sembrava incredibile anche solo immaginarlo dopo il disastro-Marino e Mafia Capitale), i due Roberto sono costretti a sgomitare tra un’improbabile corte dei miracoli che, per garantirsi un po’ di visibilità, un pugno di voti o una poltrona (più probabile uno strapuntino), fa dell’assurdo, della superficialità e della “cojonella”, i cardini della campagna elettorale. Quindi, tra l’affettata marzialità del Generale Rossi di Centro Democratico, l’esacerbante qualunquismo del “Senatore” Pedica e l’infantile confusione del movimentista Mascia (che per di più, non contento, si presenta pure in tv con un Orso di peluche, casomai si rimanesse di colpo a corto di prese per il culo) il 6 marzo gli elettori di centrosinistra saranno chiamati a scegliere uno dei due giganti di prima. Bella cosa le primarie. Magari però andrebbero leggermente rivisti i principi di ammissione…

Non ho citato la candidatura di Chiara Ferraro per un motivo preciso. Ne capisco il principio, la città deve essere pensata e amministrata anche (e soprattutto) in funzione di chi deve fare i conti con un handicap. Ma non ne condivido il modo. Mi lascia perplesso la fermezza con cui il papà l’ha coinvolta in questo secondo tentativo (era già stata nella Lista Civica per Ignazio Marino) e non mi piace l’esposizione traumatica a cui la ragazza è sottoposta senza poter sapere se, e fino a che punto, le sia gradita (perchè oh, stare vicino a uno che dice castronerie brandendo un orso di peluche cos’è se non un trauma?).

Oh, poi, per quanto in questo periodo si possa “diffidare” della politica, il confronto una certa rilevanza politica, oggettivamente, ce l’aveva, si parla pur sempre di Roma Capitale e del partito del Premier. Per questo credo avrebbe meritato un giornalista un po’ più preparato e meno astioso della Annunziata. Che però, c’è da dire, con i suoi a Tor Sapienza arrivano gli immigranti [testuale] e succede quello che succede, Chiara fa il minestrone, Renzi è andato al potere senza essere stato votato e nessuno di voi vuole vincere in quella corte dei miracoli ci stava proprio bene.

Per chi vuole “farsi del male”:

http://www.rai.tv/dl/replaytv/replaytv.html?day=2016-02-28&ch=3&v=634228&vd=2016-02-28&vc=3#day=2016-02-28&ch=3&v=634228&vd=2016-02-28&vc=3

Contraddizioni e coerenza.

Sui diritti bisogna essere partigiani. Bisogna scegliere da che parte stare e in quale direzione andare, anche a costo di contraddire “la Ditta”. Di contraddire “il Capo”. O il Parroco. Anche, e soprattutto, a costo di contraddirsi. Di discutere, di dividersi, di lacerarsi.

E sui diritti, è partigiano questo Partito Democratico che non è mai “abbastanza di sinistra”, “zeppo di democristiani”, che “guarda sempre più a destra”. Che però non ha accettato il compromesso di una “leggina” stitica fatta con le palle al piede Alfano e Giovanardi (do you remember i D.I.CO. della coppia Pollastrini/Bindi?).

Che per una battaglia di civiltà ha cercato i voti del M5s. Quelli del “voteremo (o non voteremo) sempre per il bene del paese”. E che infatti così faranno. Per il paese degli Adinolfi, delle scritte sul Pirellone, dei fascismi. Quando si dice, la coerenza.

La linea verde. Giallo a Gerusalemme.

La linea verde non è un libro sul conflitto israelo-palestinese. E’ un libro su quello che c’è in mezzo. Sull’umanità che il conflitto infinito ha asfissiato. E sulla disumanità che di questo stesso conflitto infinito si nutre.

Francesco Diodati, La linea verde, Feltrinelli.
Francesco Diodati, La linea verde, Feltrinelli.

I palestinesi, da una parte. E gli israeliani, dall’altra. Divisi – nei disegni del primo ministro Eleazar Rot, da un muro che protegga Israele dagli attentati. Ma che sia, in realtà, un modo per perseguire il “sogno” del Grande Israele. Che non rispettando “la linea verde” del confine tra Israele e Cisgiordania, e addentrandosi per chilometri nel territorio palestinese includendo la colonia di Ariel, Nablus fino agli insediamenti di Ma’ aleh Adumin, tagli a fette la Cisgiordania riducendola in pratica a cinque o sei enclave isolate. In questo modo lo Stato Palestinese avrebbe serie difficoltà a sopravvivere, privo di confini certi e contiguità territoriale. Un muro che, quindi, nasca per proteggere, anzi – ancor di più – per garantire, quel sistema di collusioni con cui la destra sionista e Hamas si oppongono ad ogni riavvicinamento, ad ogni tentativo di accordo tra israeliani e palestinesi, anche con gli atti più efferati. Orrori su cui l’Autore non sorvola. Di cui non nasconde gli aspetti più atroci. Ma che inserisce nel racconto con delicatezza rara, senza partigianerie, con un trasporto semplice e commovente degno dell’intensità lirica dell’episodio di Cecilia di manzoniana memoria. Fu allora che la vide: una giovane donna era china sul corpo di una bimba di sette, otto anni. Sembrava inspiegabilmente intatta. Le accarezzava il volto di un bianco marmoreo su cui erano spalancati due grandi occhi azzurri fissi nel nulla. le mancava il braccio sinistro. Al suo posto aveva accostato un arto palesemente più lungo e con voce tenera e rassicurante le ripeteva: “Stai tranquilla piccola mia, ora arrivano e te lo rimettono a posto. Stai tranquilla, non ti faranno male, ci sono io con te”.

Ecco, La linea verde è un libro al tempo stesso duro e delicato. Esattamente come quella terra, bellissima e maledetta, di cui parla.

Oh, per inciso. La linea verde sarebbe anche un giallo. A metà fra il thriller e la spy story. E forse proprio “il genere” scelto da Francesco Diodati (inciso nell’inciso, Ufficiale Superiore dell’Esercito Italiano) finisce per essere l’unico anello debole del libro. Ma davvero, non è importante.