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MILLENNIUM 5, L’uomo che inseguiva la sua ombra.

Quinto capitolo della serie Millennium, secondo firmato da David Lagercrantz.

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David Lagercrantz, L’uomo che inseguiva la sua ombra, Marsilio.

La trama torna, per fortuna, a ruotare attorno ai due personaggi principali della saga. Lisbeth Salander rispetto al volume precedente  (Quello che non uccide, 2015, il primo firmato da Lagercrantz) si avvicina notevolmente alla hacker geniale, enigmatica e affascinante dei tre episodi “originali”. E tratto distintivo di Mikael Blomkvist torna ad essere l’interesse per la verità, più che per la notizia.

La trama è intricata. Ma si dipana progressivamente, come consuetudine, intorno al classico schema: Lisbeth (questa volta inizialmente in prigione) deve fare i conti con il suo passato e, con l’aiuto di Blomkvist, contrastare quelle forze oscure che lo vogliono, e la vogliono, distruggere. E questo comincia ad essere un problema. Perché Lagercrantz, pur dimostrando maggiore attenzione verso i due personaggi fondamentali (e quindi correggendo astutamente il tiro rispetto “Quello che non uccide”, particolarmente criticato dai sostenitori più accaniti della serie per l’eccessivo distacco dimostrato), non riesce a nascondere una sostanziale mancanza di identità. Il thriller è ben modulato (la prima parte, ambientata all’interno della prigione di massima sicurezza di Flodberga tiene incollati alle pagine) con, al suo interno, due storie altrettanto avvincenti (l’omicidio del blogger bengalese Jamal Chowdhury e l’incontro tra i due gemelli Daniel e Leo) e Lagercrantz sembra volersi richiamare allo stile di Larsson (ad esempio nelle lunghe e meticolosissime descrizioni sull’abbigliamento anche dei personaggi più insignificanti o sulla topografia della città). Svolge bene il compito, per carità, ma non dimostra empatia con la storia.

Le ombre di Rocco Schiavone non sono fatte per la TV.

Per una personalissima questione di principio, con un’applicazione ossessiva ho letto tutti i libri di Manzini che hanno come protagonista il vicequestore Rocco Schiavone prima dell’inizio della serie tv. E ho fatto bene.

Manzini Rocco Schiavone SellerioSchiavone è un personaggio fatto di ombre, cupo. Che trasmette un’idea di vuoto, di solitudine, ai limiti della crisi di panico. E’ un personaggio degno di Jo Nesbo. Respingente. Tormentato e silenzioso. Ma nelle pagine di Manzini i silenzi rimbombano come grida di rabbia, come disperate e inconsce richieste di aiuto. Ed è in quei silenzi che la storia di Schiavone, il suo passato, il suo vissuto, si “nasconde” prima di colpire chi legge con la potenza improvvisa e inaspettata di un colpo da KO. Rocco Schiavone, per intenderci, è lontano anni luce dalla melassa radical chic in cui Camilleri ha, ormai da tempo, immerso il commissario Montalbano.

No. La televisione non è, e non può essere, la sua dimensione.

Marco Giallini Rocco Schiavone fiction Rai2

Quella notte sono io. Un romanzo sulla responsabilità.

Giovanni Floris, Quella notte sono io, Rizzoli.
Giovanni Floris, Quella notte sono io, Rizzoli.

Germano, Lucio, Margherita, Silvia e Stefano sono inseparabili. Germano, il Kapo, fascista, prepotente e manesco. Lucio, arrogante e saccente. Margherita, semplice e affascinante, Silvia, ricca e bellissima. E Stefano, “bello e sano”. Più adatto ad un college americano che a un liceo romano, ingenuo. Affiatati e uniti (apparentemente), sono un gruppo. Ma sono anche un branco. Aguzzini, persecutori spietati di Mirko, il diverso. Lo stupido. L’handicappato. Il debole da deridere e umiliare. Persino da “sacrificare”, facendolo precipitare dal balcone di un albergo durante una gita.

Sarà, anni dopo, una lettera dello stesso Mirko (il vero e proprio protagonista assente) a farli incontrare di nuovo e, in una casa trasformatasi improvvisamente in una Alcatraz inespugnabile, a catapultarli dentro un implacabile processo alle loro azioni, alle loro superficialità, alle loro meschinità. Con uno stile asciutto e diretto e un ritmo incalzante Giovanni Floris evita la melensa retorica anti bullismo rifiutando la dicotomia buono-cattivo. A far definitivamente deflagrare il “gruppo” infatti non è il rimorso verso la vittima, ma l’improvviso e (a loro giudizio) inspiegabile rovesciamento dei ruoli. Germano, Lucio, Margherita, Silvia e Stefano diventano, di colpo, un gruppo di “diversi”. Lontani anni luce da quella mimetica “normalità” nella quale, dopo averla disprezzata, vorrebbero nascondersi e confondersi.

Obbligati a fare i conti, per la prima volta, con il senso di responsabilità. A sentirne il peso. A percepirne, sulla pelle, le sfumature drammatiche. E a decidere se continuare a scapparne o affrontarlo.

Ognuno ha il suo “Addio al Calcio”.

Valerio Magrelli, Addio al calcio, Einaudi.
Valerio Magrelli, Addio al calcio, Einaudi.

90 raccontini divisi in due tempi, da – ovviamente – 45 minuti. “Addio al calcio” è un tentativo curioso, delicato e personale di scovare “letteratura”, epica, poesia nel calcio “quotidiano”. Quello giocato nei parchi e nei campetti di periferia, nei cortili dei palazzi, in piazza, per strada. O magari nei corridoi di casa, con una palla di spugna o arrotolata. Con l’applicazione di cui sono capaci i bambini, assorti, metodicamente impegnati nel cercare di superare, palleggio dopo palleggio, il numero di tocchi prefissato. O, ancora meglio, il calcio giocato fantasticando. Mimando un colpo di tacco e un tiro al volo di sinistro, di notte, al riparo da “occhi indiscreti”, tornando verso casa dopo aver parcheggiato la moto. Due tempi da 45 mini-racconti per raccontare il calcio giocato semplicemente giocando. A qualsiasi età, o nonostante qualsiasi età.

Carino. L’idea più che altro. A volte qualche “minuto” sembra di troppo. Certo, però, a chi non s’appassiona per scarpini, telecronache, maglie, figurine, tornei, calcetti, calciotti, subbutei, calcio-balilla, dopo un po’ ammorba..

Avesta Harun, la guerriera dagli occhi verdi.

Libri, La guerriera dagli occhi verdi, Marco Rovelli, Giunti.

Filiz Saybak è nata nel 1982 a Mezri. E’ la più piccola della famiglia. Cresce coccolata da Tekin, il fratello prediletto, tra alberi di noce, pecore al pascolo, racconti e fiabe narrati dalle calde voci dei dengbej, balli spensierati per la festa del Newroz.

Anche Avesta è nata nel 1982 a Mezri. Anche lei è la più piccola della famiglia. Ha scelto il suo nome di battaglia in memoria di Harun, il fratello prediletto, ucciso in montagna dalle bombe e dai proiettili degli elicotteri turchi.

Filiz è diventata Avesta per continuare la lotta di Tekin, diventato, e morto, Harun.

Libri, La guerriera dagli occhi verdi, Marco Rovelli, Giunti.
Marco Rovelli, La guerriera dagli occhi verdi, Giunti.

Ma Filiz era già Avesta. Era sempre stata Avesta. Nell’incessante ricerca d’emancipazione, nella orgogliosa resistenza alle imposizioni e alle sanguinarie repressioni del governo turco, nel continuo desiderio di conoscenza e di approfondimento, nell’intensa capacità di mettersi al servizio della comunità, di tradurre il personale in collettivo. Compagna, capace di trasformare in scuola una tenda rammendata a fatica. Di diventare Maestra per i bambini tra gli alberi di Behre, nel campo profughi di Ninive o sotto il sole ardente del deserto iracheno, affinché la comunità non debba mai rassegnarsi “al barbaro che è in noi”.

E Avesta è rimasta sempre Filiz. Trasformando il proprio desiderio di “non lasciare a terra l’arma di Harun” nella difesa di un ideale di libertà e democrazia dalla minaccia di un nemico diverso, per una volta condiviso con l’occidente. Comandante, in grado di combattere gli spietati tagliagole di un califfato teocratico in nome della convivenza pacifica di etnie e religioni diverse. Ma soprattutto donna, determinata a respingere, con i libri e con il fucile, quel “dio” maschio e crudele deciso a rendere ogni donna un fantasma.

Marco Rovelli racconta la storia della guerriera dagli occhi verdi sdoppiando il piano della narrazione. Alternando gli episodi dell’infanzia e dell’adolescenza di Filiz, legati alla formazione della sua coscienza politica, alle vicende della partigiana Avesta. Il libro scorre agile come un romanzo, ma le testimonianze dei parenti di Filiz e dei guerriglieri che hanno combattuto al fianco di Avesta (raccolte direttamente dall’autore nel Kurdistan turco e iracheno) lo rendono una preziosa non-fiction novel, in grado di indicare il cuore della lotta di liberazione del popolo curdo: un paese non può essere libero, un popolo non può sentirsi libero, se le donne non lo sono. Questo è il principio che ha animato la breve vita di una giovane guerriera dagli occhi verdi.

Se sai contare

le foglie di questa foresta

se sai contare

tutti i pesci, grandi e piccoli,

del fiume che scorre qui davanti,

se sai contare

gli uccelli al tempo della migrazione

dal nord al sud 

e dal sud al nord

allora scommetto che anch’io riuscirò a contare

i martiri della mia terra,

il Kurdistan.