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Il gioco delle tre tasse.

Che poi, anche a guardarlo bene, Letta è veramente insospettabile. Distinto, educato, sobrio, pacato. Il signore elegante che tutti gli anziani vorrebbero come vicino di casa, quello che non perde la calma alle riunioni condominiali. Quello che, per fare una cena tra amici in balcone, avvisa i vicini con un biglietto nella cassetta condominiale e si scusa in anticipo per l’eventuale disturbo. Quello che non dice mai una parola sopra le righe.

Insomma, quello che nessuno si aspetterebbe di vedere con il banchetto rimovibile e due complici accanto (uno un distinto signore anziano con un loden ormai un po’ liso, l’altro basso, molto, e incarognito), pronto a imbastire il gioco delle tre carte agli sprovveduti che gli passano accanto.

Venghino venghino siore e siori! L’abolizione vince, la tassa perde! Dov’è l’abolizione?

Venghino venghino, si rischia poco e si vince molto! L’abolizione vince, l’IMU perde! Dov’è l’abolizione?

L’abolizione vince, l’IMU perde, dove’è l’abolizione? Eccola! Guardate quant’è semplice, l’abolizione vince, l’IMU perde!

Puntate siore e siori, puntate! Dov’è l’abolizione? Puntate, è facile!

Qui? Peccato, qui c’è la Service Tax!

Insomma, il Consiglio dei Ministri del Governo Letta, in pompa magna ha annunciato la cancellazione dell’IMU sulla prima casa e sull’agricoltura per il 2013. Praticamente, il Premier (del Partito Democratico) di un governo di larghe intese (dove il Partito Democratico è il Partito di maggioranza, anche se di poco) ha realizzato il punto su cui Berlusconi ha impostato tutta la sua campagna elettorale. E come da tradizione berlusconiana ne ha scaricato il peso sui comuni: “La service tax è un’imposta federalista che fa scattare il meccanismo della responsabilità. I sindaci saranno protagonisti”. Che larghe intese significhi davvero “Intendiamoci su cosa preferisce Berlusconi”?

Qualche migliaio di morti di ritardo.

In questi giorni, articoli e servizi tv mi hanno fatto tornare indietro di qualche anno. Nelle polemiche, nei tentennamenti, nelle opposizioni all’eventuale intervento militare in Siria, sembra di rivedere una storia vecchia. Stesse parole di sostegno, stesse posizioni contrarie. Mi sono venute in mente le manifestazioni contro l’intervento Nato nella ex Jugoslavia. Non si può creare la pace con la guerra! Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant, anche alcune parole di Tacito erano tornate d’attualità nel manifesto pacifista.

Mi è anche tornato in mente che, all’epoca, nell’area della ex Jugoslavia la presenza dei Caschi Blu dell’Onu era già costante. Non era bastato, però. Davanti a loro si compivano barbarie agghiaccianti. Davanti a loro, a Srebrenica (zona sotto la tutela delle Nazioni Unite) migliaia di musulmani bosniaci furono uccisi dalle truppe serbo-bosniache e dai paramilitari guidati da Arkan. La “Tigre” Arkan, il criminale in cui onore (pochi giorni dopo la sua morte) i tifosi della Lazio esposero uno striscione allo stadio Olimpico (si dice commissionato dall’attuale tecnico della nazionale serba Mihajlovic). Era il luglio 1995. L’Operation Deliberate Force si svolse dal 30 agosto al 20 settembre.

Mi sono venuti in mente i ministri che protestavano e manifestavano contro lo stesso governo di cui facevano parte. Era il governo D’Alema (quello che si reggeva grazie ai voti dell’UDR di Cossiga e Mastella e quindi, come dicevano i manifestanti, grazie all’Alleanza Atlantica). Era il 1999. Le fosse comuni in cui il regime di Milosevic gettava i cadaveri dei kosovari sono state scavate per anni e, ancora oggi, emergono ossa. L’Operation Allied Force si svolse dal 24 Marzo al 10 giugno 1999.

Sulla questione siriana si è già accumulato un forte ritardo, che non si conta in mesi o anni, ma in migliaia di morti. All’Onu si parla – tanto – ma non si riesce ad affrontare – seriamente – nulla. Figuriamoci risolvere. Non sono, non posso essere, sicuro che solo la posizione espressa dagli Stati Uniti, Inghilterra e Francia (anche la Francia del socialista Hollande..) sia quella “giusta”. Credo però che la comunità internazionale – Italia compresa – non debba ricadere, per paura o per strategia, negli errori di un passato molto, molto recente.

Visto l’argomento, per chi fosse interessato – e avesse coraggio, perchè ce ne vuole – consiglio un libro meraviglioso: Anche gli orsi faranno la guerra, di Paolo Alberti (Rizzoli). Le atrocità della guerra vissute da un bambino che ne diventa protagonista, come cecchino infallibile, proprio nelle milizie di Arkan. Ma per quanto sia trattato da “eroe” ne viene progressivamente trasformato e deformato.

Volevo solo pedalare un po’…

Approfittando della mattinata libera, e della notizia della riapertura del tratto di pista ciclabile di via Pian due Torri, martedì ho deciso di fare una passeggiata in bicicletta. Per godermi, a ritmo lento e con un caldo moderato, la zona della Magliana (un pezzo di citta’ che frequento poco, anche se vicinissima al quartiere in cui sono nato) fino alla campagna di Tor di Valle.

Era un po’ di tempo che non utilizzavo questo tratto di ciclabile. Avevo l’abitudine di sfruttare il tratto pianeggiante di Riva di Pian due Torri quando ho iniziato a correre, nel 2006, per fare le prime ripetute ad un ritmo che all’epoca ritenevo forsennato. Ho smesso di andarci con il sensibile aumento dei carrelli zeppi di ferraglia e vecchi elettrodomestici  fatti sfrecciare lungo la pista dai rom accampati sotto il viadotto ad una velocità nettamente superiore alle mie doti di podista.

Che poi, in questi giorni muoversi in bicicletta a Roma e’ una pacchia. Poche macchine, pochissimo traffico, un senso di tranquillità e persino di spensieratezza che conquisterebbe anche il piu incallito detrattore delle due ruote a pedali. Insomma, le condizioni ideali  per riappropriarmi  di un pezzo di città che, qualche volta, sfioro solamente con la macchina.

Lo spettacolo a cui mi sono trovato ad assistere e’ stato incredibilmente desolante. Mi ha rattristato, oltre che fatto incazzare. Aree di sosta fatiscenti, sporcizia, vetri, buche, recinzioni divelte. Oltre al ben noto accampamento di rom e al traffico di carrelli – di cui sopra – degno del Raccordo Anulare in pieno orario di punta.

Spontaneamente ho preso il telefono e fatto qualche foto (mi scuso in anticipo per la scarsa qualita’ di alcune immagini). Mi dispiace non aver avuto la prontezza di riflessi per fotografare i due motorini (!!!!) che mi hanno sorpassato subito dopo l’ippodromo di Tor di Valle (…e io che mi ostino a sudare sui pedali…).

Ecco il link dove, chi vuole condividere la mia esperienza, può trovarle: http://www.flickr.com/photos/100614329@N06/sets/72157635178067964/ 

IO credo fermamente che le pedonalizzazioni e, contemporaneamente, lo sviluppo della ciclabilita’ siano il modo migliore per decongestionare il traffico e migliorare la qualità della vita di giovani e anziani, facendo in modo che un numero sempre maggiore di persone abbia la possibilita di spostarsi o semplicemente passeggiare in sicurezza.

Su questo tema le parole del sindaco Marino sono inequivocabili: Non possiamo pretendere che più persone si spostino in bici se non rendiamo le ciclabili sicure per questo la questione ciclabilità è uno dei temi all’attenzione dell’assessore Improta. (http://roma.repubblica.it/cronaca/2013/08/21/news/marino_pedonalizzeremo_la_periferia_la_citt_non_solo_centro_storico-65057894/). Trovo fondamentale la presa di coscienza che la questione sicurezza sia centrale in tanti ambiti di intervento dell’Amministrazione, e che il suo ruolo non sia mai subordinato ad altri temi e ad altri interessi.  Si intervenga, allora. In breve tempo e con decisione. Passando, senza paure, dalle parole ai fatti.

Schifo.

Valerio Verbano aveva 18 anni quando il 22 febbraio del 1980 rientrato da scuola è stato ucciso con un colpo di pistola alla schiena. A casa sua. Da tre militanti fascisti che, spacciandosi per “amici”, avevano immobilizzato la mamma, Carla, e il papà, Sardo.

Valerio frequentava il liceo Archimede ed era un militante di sinistra. Figlio dei “credo” ciechi di quegli anni, partecipava a scontri anche duri e viveva con impegno e abnegazione la sua militanza. Aveva realizzato un “dossier” sulle formazioni di estrema destra romane. Ma aveva 18 anni, e come tutti i diciottenni divideva la sua passione politica con altri interessi. La musica, la fotografia. La Roma.

Una rivendicazione arrivò dai Nar, i Nuclei armati rivoluzionari. Quelli di Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, che in quegli anni misero a ferro e fuoco Roma. Carla, la mamma ha continuato per anni a cercare la verità sull’omicidio del figlio, sugli esecutori e sui mandanti, nonostante le indagini zoppicanti e gli indizi scomparsi. Ha scritto, con Alessandro Capponi, un libro bellissimo – che consiglio – “Sia folgorante la fine”. E’ morta nel 2012 senza conoscerla, la verità.

La storia di Valerio Verbano è una di quelle storie che non devono essere dimenticate. Per questo la Provincia di Roma gli ha intitolato un concorso per la presentazione di cortometraggi e progetti multimediali rivolto proprio a ragazzi. A Scampia gli è stata intitolata una strada e a Napoli, a Valerio e a Carla, è stato intitolato l’Auditorium di via Mezzocannone.

Nel 2006 a Roma, in occasione del 26esimo anniversario della morte, alla presenza del sindaco Veltroni, a Valerio è stata intitolata una via nel Parco delle Valli, a pochi metri dalla casa dove è stato ammazzato.

Stanotte questa targa è stata distrutta. Un’azione ignorante, carica d’odio.

Un’azione che fa venire i brividi.

Un’azione che non fa politica. Che non fa nessuna rivoluzione. Fa solo schifo.

Una condanna può fermare Diabolik?

Giovedì 1 Agosto 2013. La corte di Cassazione ha confermato la condanna di Berlusconi a 4 anni per frode fiscale, chiedendo alla Corte d’Appello di rideterminare la pena accessoria di interdizione dai pubblici uffici. La condanna è definitiva, e definitivamente indiscutibile è il reato: frode al fisco. Questo è il fatto, nudo e crudo.

[Non si tratta di un’evasione di sopravvivenza ma proprio di un reato in questo caso. Il viceministro Fassina può stare tranquillo. NDR].

Paradossalmente, però, oggi il reato – o i reati – commessi da Berlusconi smettono di essere tra i nodi cruciali del dibattito politico italiano. Quelle che iniziano oggi sono due partite distinte l’una dall’altra e al tempo stesso pericolosamente intrecciate l’una con l’altra. Una in seno alla destra; l’altra, strano a dirsi, nel cuore del centrosinistra. Più precisamente nel Partito Democratico.

Il PDL si troverà a fronteggiare, per la prima volta in modo chiaro e definito – anche definitivo mi verrebbe da dire e da sperare… – la “strenua resistenza” dei fedelissimi del Cavaliere, pronti ad uno scontro frontale con la magistratura (i nemici di sempre) per mantenere vivo quello “Stato a parte” (lucidamente descritto da Ezio Mauro nell’editoriale di oggi su “la Repubblica”) in cui si muovono dal 1994 e i mal di pancia dei rappresentanti delle richieste di evoluzione del centrodestra verso forme, modalità e tematiche dal respiro certamente più ampio. Richieste, va detto, che non hanno significativi portavoce in Parlamento ma che potrebbero avere presa maggiore a livello territoriale.

Il Partito Democratico si trova, di fatto, già diviso. Che strano.

Da una parte l’esperienza di governo di larghe intese, con Berlusconi stesso. il Premier Letta è stato più volte messo al sicuro, almeno a parole, dallo stesso Berlusconi. Cioè dallo stesso avversario politico. Dallo stesso condannato. Che in questo modo ruba per l’ennesima volta la scena, impossessandosi con la forza del ruolo del “buono”, che seppur “perseguitato” garantisce il sostegno necessario al governo e l’impegno promesso al paese per affrontare le urgenze economiche e sociali. Dall’altra parte le anime più inclini ad una rapida revisione degli obiettivi del governo, coscienti che la condanna sia la goccia che fa traboccare il vaso della pazienza chiesta (e imposta) al proprio elettorato. E, quindi, decisi a “staccare la spina” all’esecutivo dopo la realizzazione di una nuova legge elettorale e l’inquadramento de quella di stabilità: Civati ne è l’esempio più chiaro e coerente. 

Da sospettoso complottista come spesso mi piace essere però, la teatralità del messaggio diffuso in rete ieri sera mi fa pensare ad ennesimo trabocchetto preparato da Berlusconi in cui il PD rischia di cadere con tutte le scarpe. I “contraccolpi” per il governo ci saranno, c’è poco da fare. Lo ha detto chiaramente anche il premier Letta, augurandosi però che non ci siano mosse azzardate da parte del PDL. Praticamente una richiesta formale di appoggio ai ministri che del PDL sono anche esponenti di vertice (Alfano, Lupi, Lorenzin ecc.). Se però i possibili contraccolpi fossero una serie piuttosto ritmata di “spallatine” con l’obiettivo di logorare e ampliare la divisione all’interno del PD fino a farla diventare uno squarcio insanabile? Le prospettive per il centrodestra cambierebbero. Sarebbero infatti le divisioni del centrosinistra a far cadere il governo “di pacificazione sociale” interrompendo il processo di risanamento (presunto) dell’economia. E questa potrebbe essere, ancora una volta, una carta decisiva da giocare in una campagna elettorale (più o meno improvvisa) a cui il PD arriverebbe comunque dilaniato da un congresso che ancora una volta si prospetta logorante.

Attenzione quindi a cantare vittoria e a stappare lo champagne. Avrò letto troppi fumetti di Diabolik ma… “nessuno è mai riuscito a prendere il genio del male” (Eva Kant in “Sepolto Vivo”).