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L’opposto.
I risultati elettorali sono inequivocabili: il 75% dei votanti (punto percentuale in più, punto percentuale in meno) ha scelto qualsiasi proposta politica si trovasse agli antipodi delle posizioni assunte dagli ultimi due governi a guida Partito Democratico.
Politica estera? L’opposto. Politica interna? L’opposto. Politica economica? L’opposto. Politiche sociali? L’opposto. L’opposto di Renzi e del suo carattere antipatico e divisivo. L’opposto di Gentiloni e della sua capacità di sintesi e mediazione. L’opposto del Jobs Act che “crea un lavoro senza diritti”, e l’opposto della legge contro il capolarato che combatte il più medievale degli sfruttamenti. L’opposto delle unioni civili, del biotestamento, del dopo di noi. Perché “ma quali diritti che la gente non arriva fine mese!”. L’opposto dell’Europa (ma anche quello dell’antieuropeismo, peraltro questo “opposto al quadrato” ha trovato ampio successo all’interno di una stessa coalizione).
E’ stato scelto l’opposto di quelli che abbiamo considerato risultati importanti.
L’opposto di quella che, per quattro anni, abbiamo chiamato “responsabilità”.
Forse è il caso di saltare un giro e riordinare le idee.
“Lunga vita alla libertà”. La storia di Deniz Naki.
Deniz Naki nasce il 9 luglio del 1989 in Germania.
La sua è una delle tante famiglie che compongono la comunità curda a Düren, una cittadina a metà strada tra Colonia e Aquisgrana. Gioca a calcio, è un buon centrocampista offensivo e viene selezionato nelle formazioni giovanili della squadra più importante della regione, il Bayer 04 Leverkusen.
Inizia così la sua carriera da calciatore. Sul campo non sarà quella di un fuoriclasse.
Al Bayer Leverkusen non debutta mai in prima squadra, viene stabilmente impiegato nella formazione delle riserve e presto ceduto in prestito al Rot Weiss Ahlen con cui, l’8 febbraio del 2009, debutta in seconda divisione. Al 79° della partita contro l’FC Augsburg sostituisce Marco Reus (lui sì che avrà una carriera formidabile, considerato uno dei “pezzi pregiati” del che Borussia Dortmund e della nazionale tedesca). Il 25 giugno 2009 viene ceduto all’FC St. Pauli. Quelle tra le fila della squadra di Amburgo saranno le sue stagioni migliori. 71 presenze, 12 goal, e un gesto che lo rende “idolo” dei tifosi più accesi. La partita contro l’Hansa Rostock è una delle più tese e sentite. La rivalità tra le due tifoserie, quella dichiaratamente di sinistra del St. Pauli e quella con aperte tendenze neonaziste dell’Hansa Rostock, ha già provocato una serie di tafferugli e un fitto lancio di fumogeni che hanno ritardato il fischio di inizio. Naki segna il goal decisivo, e davanti ai tifosi avversari si passa un dito sulla gola.
Scoppia, giustamente, il putiferio.
Lasciato il St. Pauli tenta l’avventura in Inghilterra, al Nottingham Forest, e poi ancora in Germania al Paderborn 07, fino al simbolico ritorno, nel 2013, in Turchia, nella Super Lig, con la maglia del Gençlerbirliği, l’Ankara Rüzgârı (il vento di Ankara). Anche lì, però, poca fortuna. Due stagioni, 25 presenze, 1 solo goal. A lasciare il segno non è il suo talento sul campo, ma l’aperto sostegno alla causa curda del Rojava e alla città di Kobane, che dal 16 settembre 2014 è cinta d’assedio da parte dei jihadisti dell’Isis. Il 5 novembre, dopo essere stato aggredito in strada, decide di lasciare Ankara [1] [2] ed approda all’Amedspor, in seconda divisione.
L’Amedspor è la squadra di Diyarbakır, città situata lungo le sponde del fiume Tigri, nel sudest della Turchia. Per i curdi è “la capitale del Kurdistan turco”. Quella di Naki possiamo considerarla una scelta di cuore. E di libertà, “Azadi”. Parola che si tatua sull’avambraccio sinistro e per la quale la TFF (Federazione calcistica della Turchia) presieduta da Yıldırım Demirören (ex presidente del besiktas e fortemente sostenuto dal presidente Recep Tayyip Erdoğan) lo squalifica per 15 giornate. No, non è uno scherzo. Erdogan è già pesantemente intervenuto per limitare la libertà di espressione nel mondo calcio. Nel 2013, in seguito all’appoggio dato dalle tifoserie dei tre principali club di Istanbul (Galatasaray, Besiktas e Fenerbahce) [3] al movimento di Gezi Park (sulla vicenda è assolutamente da vedere il documentario “Istanbul United” [4]), ha bandito i cori politici dagli stadi.
L’arrivo di Naki all’Amedspor coincide con un periodo di grandi tensioni. Nonostante l’Isis, quello che dovrebbe essere un nemico comune, sia alle porte, nel novembre del 2015 la Turchia interrompe la tregua (annunciata da Öcalan nel 2013) bombardando postazioni del PKK in Iraq e riaprendo così le ostilità armate col gruppo curdo [5].
Sui campi di calcio, come già capitato in altri scenari “caldi”, le divisioni non si stemperano. Quando i calciatori turchi incontrano Naki e l’Amedspor si esibiscono spesso nel saluto militare, in sostegno ai soldati che rispondo agli ordini del presidente.
Già. Proprio questo “saluto militare”, purtroppo.
Così, dopo aver messo a segno il goal che suggella la qualificazione dell’Amedspor ai quarti di finale della Coppa di Turchia, Naki dedica l’impresa “a coloro che hanno perso la vita e ai feriti durante la repressione nella nostra terra che dura da più di 50 giorni. Siamo fieri di essere un piccolo spiraglio di luce per la nostra gente in difficoltà. Come Amedspor, non ci siamo sottomessi e non ci sottometteremo. Lunga vita alla libertà!».
Il post, pubblicato sui suoi account social, costa al giocatore altre 12 giornate di squalifica. Al club un’irruzione della polizia nella sede e il sequestro dei computer. Ai tifosi la squalifica per la storica partita seguente, contro il Fenerbache (che – almeno ogni tanto una buona notizia – esprimerà solidarietà nei confronti di Naki e dei tifosi dell’Amedspor) [6] [7].
Non è ancora abbastanza.
Il 7 gennaio di quest’anno, nei pressi di Düren, vengono sparati alcuni colpi di pistola sulla sua auto. Rimane, fortunatamente, illeso [8].
In questo clima, il 31 gennaio, si consuma l’ultimo atto della vicenda. La TFF lo giudica colpevole di “propaganda ideologica” e “separatismo curdo”, e lo squalifica per tre anni e mezzo dall’attività agonistica (oltre ad infliggergli una multa di circa 60mila euro). Equivale a una squalifica a vita. La causa? Aver condiviso un video sui social media con un appello di partecipazione ad una manifestazione contro l’offensiva militare turca nell’enclave curda di Afrin, nel nord della Siria [9].
Questa è la carriera di Deniz Naki. Sul campo non è stata la carriera di un fuoriclasse. Non importa.
MiC Card. 5€ per un’idea di città.

Il 21 dicembre con un emendamento al bilancio, il Comune di Roma ha stabilito che, dalla primavera del 2018, i residenti potranno usufruire di un ingresso illimitato in tutti i siti del sistema “Musei in Comune” (incluse le mostre in corso di svolgimento) acquistando una tessera annuale al costo di 5€.
I musei interessati dall’iniziativa sono i Musei Capitolini, la Centrale Montemartini, l Museo dell’Ara Pacis, il Museo dei Fori Imperiali – Mercati di Traiano, il Museo di Roma (Palazzo Braschi), il Museo di Roma in Trastevere, la Galleria d’Arte Moderna, i musei di Villa Torlonia, il Museo di Zoologia.
Oltre, naturalmente, a quelli già ad ingresso gratuito: Museo di Scultura antica Giovanni Barracco, la Villa di Massenzio, il Museo delle Mura, la casa-studio dello scultore Pietro Canonica, il Museo napoleonico, il Museo Carlo Bilotti, il Museo di Casal de’ Pazzi e il Museo della Repubblica Romana e della memoria garibaldina.
Questo è il fatto. Nudo e crudo.
Potremmo discutere a lungo – e probabilmente senza venire a capo di nulla – sul concetto per cui la cultura (e con essa i servizi culturali) si debba pagare. Concetto che, in linea generale, condivido da tempi non sospetti sia idealmente che professionalmente. Ma che, in questi giorni, mi sembra essere tornato alla ribalta solo come momentaneo cavallo di battaglia dei detrattori della Giunta.
Oppure potremmo criticare il costo della card. 5€, in effetti, sono pochi. E vista la qualità dell’offerta probabilmente con un costo di 15/20€ la proposta avrebbe avuto ugualmente grande appeal. Ma di certo non sarebbero stati quei 10€ in più a persona a “fare cassa”.
In entrambi i casi, però, si rischierebbe di perdere di vista il “nocciolo” della questione. Credo infatti che l’iniziativa abbia molto poco a che vedere con la gestione e la riorganizzazione del patrimonio culturale e museale di Roma. E’, indiscutibilmente, un aiuto considerevole per chiunque voglia riappropriarsi dei luoghi che custodiscono la millenaria storia della città senza dover fare i conti con la “partita doppia” ogni volta. Perché, parliamoci chiaro, i musei sono di tutti, ma attualmente non sono per tutti. Qualche esempio? Per i residenti nel territorio di Roma Capitale, infatti, l’ingresso ai Mercati di Traiano, al Museo dell’Ara Pacis o ai Capitolini varia attualmente tra gli 8€ e i 9,50€. Una cifra che già esclude una fetta della società. A cavallo tra l’inverno 2017 e la primavera 2018, le mostre “Traiano. Costruire l’impero, creare l’Europa”, “Hokusai. Sulle orme del Maestro”, “Winckelmann e il Museo Capitolino nella Roma del Settecento” allestite nei suddetti spazi hanno portato ad un sensibile aumento dei biglietti di ingresso, variabili tra i 13€ e i 16€. La card può quindi essere interpretata come un intervento “sociale”, una restituzione a tutti i romani della costante e completa fruibilità di spazi finora riservati ad una “elite”. E proprio questo rivela la sua natura politica, in aperta e dichiarata contrapposizione con le scelte contestualmente operate dal Governo e in particolare dal Ministro per i Beni e le Attività Culturali come l’introduzione del ticket per l’ingresso al Pantheon e l’abolizione delle condizioni di riduzione per l’ingresso a musei e aree archeologiche statali (sostituite, ad onor del vero, dalla completa gratuità in occasione della prima domenica del mese).
Ma anche questa analisi è parziale.
Perché l’auspicato (e auspicabile) aumento della partecipazione alla vita culturale della città potrebbe, anzi dovrebbe, essere lo stimolo per lo sviluppo a cascata di altri consumi. Dalla partecipazione alle attività dei professionisti del settore abilitati (aggettivo non superfluo), all’acquisto di libri, al rinnovato interesse per il turismo culturale nelle altre zone della regione. Dirottando così, una cifra più o meno simile a quella attuale (non dobbiamo dimenticare che stiamo parlando di un bacino di pubblico – quello dei romani – importante sì, ma non infinito) verso altri soggetti dello stesso settore.
Insomma, sulla decisione possiamo continuare a discutere, e fino al 4 Marzo probabilmente sarà proprio così. Ma se per un lungo periodo è stata rinfacciata al Movimento 5 stelle, e in particolare alla giunta di Virginia Raggi, la mancanza di una visione di ampio respiro della città, della “comunità” (e, allo stesso tempo, “per” la città e “per” la comunità) non si può negare che questa delibera sia una prima risposta.
Uno Stadio fatto bene, dicono.
Dunque. “Sì allo Stadio della Roma” ha annunciato ieri sera il Sindaco Raggi.
Provo ad immaginare un fantomatico dialogo tra l’Amministrazione di Roma Capitale (per semplificare M5s) e i proponenti (Parnasi e Pallotta, per semplificare P&P).
M5s: Sì allo Stadio, ma noi vogliamo #UnoStadioFattoBene. Non questo progetto, in cui ci sembra che il premio di cubature sia eccessivo, sia un regalo! Quindi sì allo Stadio ma via le torri!
P&P: Ok, via le torri.
M5s: Quindi sì allo stadio ma via il 50% di cubature, di cui il 60% nel business park!
P&P: Ok, via le cubature nel business park!
M5s: Quindi, sì allo stadio ma con l’inserimento nel progetto della bioarchitettura!
P&P: Ok, via il cemento e dentro legno e fotovoltaico.
Annuncio in diretta tv, applausi, sospiri di sollievo (pure il mio NdR), post trionfanti sui social e migliaia di click sul blog.
Riavvolgiamo il nastro.
“Sì allo Stadio della Roma” hanno annunciato ieri sera il Sindaco Raggi.
Adesso però propongo una seconda versione dello stesso ipotetico dialogo. Concedetemi l’artificio letterario.
P&P: Per il sì allo Stadio siamo disponibili a seguire le richieste del Comune, che vuole #UnoStadioFattoBene e ritiene che il premio di cubature concesso dalla precedente Amministrazione sia eccessivo.
M5s: Quindi via le torri di Libeskind?
P&P: Ok, via le torri.
M5s: Quindi via il 50% di cubature, di cui il 60% nel business park?
P&P: Ok, tagliamo le cubature.
M5s: Quindi inserimento nel progetto di bioarchitettura, alberi sui tetti?
P&P: E bioarchitettura sia! Se vi piace pure cartapesta e marzapane.
M5s: Quindi priorità alle opere utili alla città?
P&P: Certo. Messa in sicurezza dell’area di Decima e al potenziamento della ferrovia Roma-Lido!
M5s: Ma quindi sarebbero 200, no dico, DUE-CEN-TO, milioni in meno di “oneri”?
P&P: Perfetto, grazie. Allora sarebbero 200 milioni in meno di opere pubbliche.
Annuncio in diretta tv, applausi, sospiri di sollievo (pure il mio NdR), post trionfanti sui social e lunedì aspettiamo le quotazioni in Borsa.
Siamo sicuri di chi abbia vinto?




