José Luis Chilavert, il portiere che ha detto no.

635 presenze e 54 goal in partite ufficiali tra Liga Paraguaya, Superliga Argentina, Ligue 1, La Liga e Primera División Profesional de Uruguay.

74 presenze e 8 goal con la maglia della nazionale.

Nome: José Luis Félix. Cognome: Chilavert González.

Ruolo: Portiere.

La sua carriera inizia a 15 anni tra i pali dello Sportivo Luqueño, la squadra della sua città, Luque, nell’area metropolitana della capitale Asunción. Le parate gli valgono presto la chiamata del Guaraní (club di Asunción), con cui nel 1983 vincerà da titolare, giovanissimo, il campionato. Nel 1984 si trasferisce in Argentina, al Club Atlético San Lorenzo de Almagro. Con El Ciclón rimarrà 4 anni prima di compiere il grande salto. Nel 1988 vola in Europa, nella Liga spagnola, lo acquista il Real Saragozza, e il 27 Agosto del 1989 conquista la nazionale paraguaiana.

Colombia-Paraguay, partita valida per le qualificazioni al campionato del mondo che l’anno successivo si giocherà in Italia, sarà la prima delle sue 74 convocazioni con la maglia dell’Albirroja. Una “prima” molto particolare. Al 90esimo, con le squadre sul punteggio di 1-1, viene fischiato un calcio di rigore a favore del Paraguay. Per placare i tifosi (infuriati) e i giocatori (altrettanto infuriati) colombiani deve intervenire addirittura la polizia. Solo dopo parecchi minuti, ristabilito a fatica l’ordine, il pallone può essere messo sul dischetto. A farlo è proprio Chilavert. Quando racconterà l’episodio dirà di aver approfittato dell’incertezza e della confusione generale, e di aver rassicurato i compagni dicendogli che, se anche avesse sbagliato, gli avversari non avrebbero mai avuto il tempo di correre dall’altra parte e fare goal. Difficile credere che li avesse convinti davvero. Nelle pochissime, e pessime, immagini dell’episodio si vedono infatti 5 giocatori del Paraguay avviarsi di gran carriera a difesa della porta sguarnita. Pochi istanti dopo dovranno percorrere tutto il campo un’altra volta, per abbracciarlo. Sinistro chirurgico e pallone alle spalle di Renè Higuita. Non uno qualunque: il portiere del “colpo dello scorpione”, delle giocate spericolate, dei dribbling irridenti agli attaccanti avversari (non sempre fortunati, il camerunense Roger Milla ringrazia).

Una partita, un goal, e Chilavert è già leader indiscusso della nazionale.

Dopo tre stagioni a Saragozza, nel 1991 torna in Argentina per vestire la maglia del Vélez Sarsfield, società di Liniers, un barrio di Buenos Aires. Presente nel campionato argentino dal 1918, il Vélez è a digiuno di vittorie dal 1968. La “musica” cambierà nel 1993, quando a sedersi sulla panchina sarà un ex attaccante dello stesso club (159 presenze, 85 goal e due titoli di capocannoniere). Un argentino dalle chiare origini italiane: Carlos Bianchi.

Il tecnico individuerà proprio in Chilavert il leader in grado di trascinare i compagni (insieme al difensore centrale Roberto Trotta, che Bianchi porterà con sé in Italia, nella breve e negativissima parentesi sulla panchina dell’AS Roma). Sotto la sua guida Chilavert vincerà quattro campionati, una Coppa Interamericana, una Supercopa, una Recopa Sudamericana e, soprattutto, nel 1994, la Copa Libertadores, la massima competizione di calcio per club del sudamerica. Come ogni anno, le squadre vincitrici della Copa Libertadores e della Coppa dei Campioni si affrontano per conquistare la Coppa Intercontinentale. Il 1 Dicembre del 1994, al National Stadium di Tokyo, il Vélez Sarsfield di Carlos Bianchi, Trotta e Chilavert si trova di fronte il “Milan degli Invincibili” guidato da Fabio Capello (che il 18 Maggio si è aggiudicato la “coppa dalle grandi orecchie” annientando per 4-0 il Barcellona di Johan Cruijff). I pronostici sono tutti per la squadra italiana. Almeno fino all’inizio del secondo tempo, quando due grossolani errori di Costacurta (che poi sarà anche espulso) in appena 7’ regalano al Vélez il trofeo. Nonostante il primo goal arrivi su calcio di rigore, il nome di Chilavert non appare tra i marcatori. Eppure il portiere paraguaiano può essere comunque considerato tra i protagonisti della vittoria. E’ il suo sinistro, infatti, a dare il via con un lancio di 70 metri l’azione che porterà Costacurta ad atterrare Flores e Roberto Trotta a trasformare il penalty per l’1-0 (con un tiro che solo per pochi millimetri non sarà respinto dal piedone di Sebastiano Rossi).

Intervistato prima della partita dal giornalista italiano Darwin Pastorin, con estrema naturalezza spiegherà il suo personalissimo modo di intendere il ruolo di portiere, la sua esigenza di spingersi in avanti. Non un elemento statico, confinato nell’area di rigore, ma un giocatore come gli altri, in grado di muoversi e aiutare i compagni in ogni zona del campo, “perchè ho sempre odiato la solitudine”.

Le prestazioni con il Vélez (e del Vélez) gli valgono prestigiosi successi personali. Nel 1995, 1997 e 1998 è il miglior Portiere dell’Anno per l’ IFFHS (International Federation of Football History & Statistics), nel 1996 viene nominato miglior giocatore del campionato argentino e “Rey del Fútbol de América” per la rivista sportiva uruguaiana El País.

Contemporaneamente il rapporto con la nazionale diventa sempre più intenso, una vera e propria simbiosi. Non ne è semplicemente il capitano, ne diventa il condottiero. Il suo carisma trascina i compagni in ogni situazione, davanti a qualsiasi avversario. Il 1 settembre del 1996, all’Estadio monumental Antonio Vespucio Liberti, el Monumental di Buenos Aires, Argentina e Paraguay si incontrano per le qualificazioni al mondiale di Francia ’98. E nella conferenza stampa pre-partita, per scaldare un po’ gli animi, Chilavert promette un goal ai giornalisti argentini. E lo segna. L’albiceleste è in vantaggio per 1-0 grazie ad una punizione di Gabriel Omar Batistuta. Il portiere paraguaiano, nell’occasione, non sembra impeccabile. Il tiro è potente e abbastanza angolato, ma un passo di troppo alla sua sinistra gli impedisce di intervenire. Chiunque, ripensando alla provocatoria ostentazione di sicurezza della sera precedente, si sarebbe demoralizzato. Chiunque, non lui. Quando qualche minuto dopo l’arbitro assegna un calcio di punizione a favore del Paraguay non ha dubbi, né ne hanno i suoi compagni di squadra. Avanza fino al punto di battuta, sinistro potente dai venti metri, palla che rimbalza beffardamente davanti al collega argentino e s’insacca. 1-1, e corsa sfrenata per mostrare ai tifosi argentini il pitbull feroce disegnato sulla sua casacca.

E’ l’eroe sportivo paraguaiano. E’ uno degli idoli del calcio sudamericano. La politica, come accade spesso, inizia a corteggiarlo. Lino Oviedo, generale golpista, gli propone la candidatura con  i nazionalisti dell’Asociación Nacional Republicana-Partido Colorado, al potere in modo ininterrotto dal 1947.

Il no di Chilavert è perentorio e non ammette repliche. Sa di essere un simbolo per i paraguaiani, non vuole esserlo di quell’establishment corrotto che ha permesso al 2% della popolazione di controllare il 98% delle terre coltivabili, che sostiene l’oligarchia dei fazenderos e medita di svendere i terreni più ricchi di titanio ai “brasiguayos”, i latifondisti argentini e brasiliani, che ha portato il 25% della popolazione molto al di sotto la soglia di povertà.

Ad ispirarlo è uno dei maestri della letteratura latinoamericana, Augusto Roa Bastos, apertamente schierato contro quella “dittatura perpetua” che in maniera irreversibile aveva segnato il passato e avrebbe segnato il futuro del Paraguay. Di un paese chiuso, solo, emarginato, come “un’isola circondata dalla terra”. E, quindi, apertamente schierato contro il granitico sistema di potere instaurato dal Partido Colorado.

Il rapporto che Chilavert stringe con lo scrittore è intenso, la stima reciproca diventa poco a poco una amicizia sincera e profonda. Lo scrittore consiglia libri e approfondimenti. Lo stimola a non perdere mai di vista, dalla sua gabbia dorata di calciatore di successo, la miseria e il dolore della sua gente. Chilavert ne segue i consigli, si applica come uno scolaro diligente. E quando Augusto Roa Bastos sarà ricoverato per un complicato intervento al cuore non esiterà a pagare tutte le spese. In un certo senso i due uomini si prendono cura l’uno dell’altro. Tanto che il 26 Aprile 2005, quando morirà ad Asunción, l’opera che Augusto Roa Bastos lascerà incompiuta sarà una biografia, non solo sportiva, di Chilavert.

Augusto Roa Bastos
Augusto Roa Bastos (1917-2005)

Mondiale di Francia ’98. Due pareggi contro Spagna e Bulgaria e una vittoria contro la Nigeria valgono gli ottavi di finale. A Lens, contro la Francia padrona di casa (e poi vincitrice del Campionato), la tattica del Paraguay è chiara: difesa ad oltranza nella speranza di arrivare ai rigori. Il muro biancorosso resiste fino al 114esimo. Quando, a soli 6 minuti dai calci di rigore è il difensore centrale Laurent Blanc, in un’inedita sortita offensiva, a mettere fine alle speranze paraguaiane di proseguire il cammino nella competizione. A diventare l’immagine simbolo della partita, però, non sarà né il goal né la gioia incontenibile dei transalpini. Subito dopo il fischio finale le telecamere riprenderanno Chilavert percorrere avanti e indietro tutta la sua metà campo, rincuorando e scuotendo i compagni in lacrime. In alcuni casi addirittura urlandogli a pochi centimetri dal viso. Che si rialzassero da terra e uscissero dallo stadio a testa alta, ci avrebbe pensato lui a caricarsi sulle spalle la tristezza di tutti.

D’altra parte, dopo pochi mesi, avrebbero avuto un altro obiettivo da inseguire. Difficile, come sempre, ma non impossibile. L’anno successivo infatti, la trentanovesima edizione della Copa América si sarebbe disputata proprio in Paraguay.

Ai nastri di partenza le squadre favorite sono le solite, il Brasile di Rivaldo e Ronaldo, l’Argentina allenata dal loco Marcelo Bielsa, il Cile di Zamorano e Salas. Oltre ovviamente alla nazionale del paese ospitante. Il Paraguay, allenato per l’occasione da Ever Almeida, può contare sull’attaccante del Bayern Monaco Roque Santa Cruz, sui centrocampisti Acuña e Gavilán, sulla coppia di duri difensori Carlos Gamarra e Celso Ayala, appena acquistati dall’Atletico Madrid.

E Chilavert?

Chilavert non c’è.

Il 3 novembre 1998, in occasione del match valido per i quarti di finale della Copa Mercosur tra il Vélez Sarsfield e l’Olimpia Asunción, il portiere ha pronunciato il suo secondo, e altrettanto irrevocabile, no. E ancora una volta ha rivolto la sua dura presa di posizione contro l’ex comandante dell’esercito ed esponente del Partido Colorado, Lino Oviedo, in questa occasione a capo del coordinamento generale del Comitato organizzatore della Coppa America. Le parole rimbalzano sulle agenzie di stampa di tutto il mondo. La dichiarazione fatta davanti a un nutrito gruppo di ignari giornalisti sportivi è un durissimo atto di accusa nei confronti delle autorità paraguaiane. “Non posso partecipare ad un torneo organizzato da quelle stesse persone che hanno versato sangue nel mio paese”. Non dimenticare mai la miseria della condizione umana, sentire il dolore di chi si ha intorno come fosse il proprio, quello era stato l’insegnamento di Augusto Roa Bastos. Per questo il condottiero del Paraguay non può partecipare ad una competizione organizzata sottraendo risorse destinate al popolo, alla scolarizzazione, a combattere la miseria.

Il 29 giugno 1999, nella partita inaugurale contro la Bolivia, a difendere la porta dell’Albirroja c’è Ricardo Tavarelli.

Il 10 Luglio, all’Estadio Defensores del Chaco di Asunción, il Paraguay viene eliminato ai quarti di finale dall’Uruguay.

Ai rigori.

Sarebbe servito Chilavert.

Ma aveva detto no.

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